Il governo Meloni è ancora alla conta dei danni causati da un anno di conflitto internazionale in Ucraina, dall’aumento dell’inflazione e relativo rialzo d’interessi da parte della Banca Centrale Europea (BCE), proprio per questo ancora non è possibile stimare le risorse disponibili e impiegabili nella riforma pensioni strutturale che potrebbe (o forse dovrebbe) mettere d’accordo tutti. E’ chiaro però che non ci sono le sostanze per accontentare non solo tutte le classi sociali, ma anche l’intero gruppo di lavoratori che, in cambio di una exit anticipata sarebbero chiamati ad accordare delle rinunce.



Riforma pensioni 2023: il governo alla conta delle risorse

La nuova riforma pensioni 2023governo Meloni è ancora alla conta degli spicci per comprendere esattamente cosa potrebbe permettersi entro settembre, mese in cui l’esecutivo sarà chiamato a presentare la nota di aggiornamento al DEF (NaDEF). E cosa ci sarà all’interno di questo importante documento economico? Certamente un cambio di rotta in merito all’impiego delle pubbliche risorse, ma anche la probabile introduzione di una norma che rafforzi la previdenza complementare e una quota 103 bis, queste sono infatti le uniche due ipotesi sostenibili in questo particolare momento storico.



Se infatti la presentazione del Documento di Economia e Finanza prevedeva un dispiego limitatissimo delle risorse “all’insegna della prudenza”, come dichiarato dalla stessa Giorgia Meloni, l’inflazione al 6,4% e l’ultimo rialzo d’interessi da parte della BCE non consente di fare ulteriori mosse.

Riforma pensioni 2023: l’incontro di settembre e la bozza

Il 5 settembre il Ministro del lavoro Marina Calderone e Giorgia Meloni, saranno quindi impegnate in un tavolo di lavoro da cui dovrà necessariamente partorire un’idea di bozza, per lo meno parziale, sulla piccolissima riforma pensioni che sarà possibile portare in legge di bilancio entro novembre 2023, in vista dell’approvazione (prevista) a fine dicembre.



E’ immaginabile che, in assenza da fondi da impiegare, il governo cercherà d’intervenire soltanto su la previdenza complementare e sui pochi aggiornamenti che potrebbero essere apportati a Opzione Donna. La quasi certezza invece ricade, secondo molti analisti, sulla possibilità di replicare quota 103 come misura ponte.

Attualmente infatti le misure messe in campo dal governo risultano essere insufficienti per quelle che sono le ingerenze delle classi sociali che vorrebbero una exit a 62 o anche a 60 anni, come era possibile fare con quota 100 che consentiva di andare in pensione anche a 59 anni e 41 anni di contributi. Ma la verità è che Bruxelles ha chiesto di frenare la spesa relativa al sistema previdenziale che pesa fino al 16,2% del PIL.

Quel che è certo è che la strutturalizzazione di Ape Sociale, potrebbe essere rimandata al 2024 e, probabilmente, questa potrebbe contemplare anche una rettifica a Opzione Donna che, dopo le modifiche di quest’anni, ha posticipato di due anni la exit per le lavoratrici.

L’appuntamento per il governo è dunque il prossimo 5 settembre e poi di nuovo il 18, due date vicine e funzionali a fare il punto della situazione in vista della Nadef.