Il governo Meloni ha ormai tolto ogni dubbio con la presentazione del DEF in cui della riforma pensioni 2023 tanto attesa che potesse rendere strutturale la normativa per l’accesso alla pensione, per cui i sindacati e le categorie sono in trattativa perenne, non c’era nemmeno l’ombra.

Dopo i primi tavoli di lavoro infatti il governo ha deciso di delegare l’analisi finanziaria del paese, dei conti pubblici e dell’impatto che le misure necessarie potrebbero avere sul sistema previdenziale italiano. L’ingombrante lavoro è stato affidato direttamente ad un osservatorio che ha esattamente questo obiettivo. Ma la situazione in Italia è così grave che qualsiasi possa essere la proposta, questa non soddisferà mai tutti.



Riforma pensioni 2023: la necessità di intervenire subito

Se solo pensiamo infatti che dal 2035 esisteranno 1 lavoratore su 2 pensionati, capiamo che il sistema faticherà a reggersi in piedi. In realtà questa situazione era stata già prevista ed è stato questo il motivo alla base della sostituzione del sistema retributivo con quello contributivo nei primi anni ’90.



Come sappiamo inoltre attualmente gli italiani potrebbero accedere al 2024 attraverso una proroga ponte della quota 103 che però non interviene in maniera strutturale sull’età anagrafica che il governo voleva definitivamente eliminare.

L’eliminazione del paletto dell’età anagrafica avrebbe inoltre tolto la garanzia di una exit in tempi congrui, motivo per cui già nel 2035 molti over ’50 avrebbero potuto andare in pensione senza riuscire a mostrare il raggiunto del minimo contributivo che era stato precedentemente previsto da quota 41 universale.

Riforma pensioni 2023: la miniriforma nel decreto lavoro

Anche se Opzione donna aveva registrato pochissimi accessi nel 2022, c’è da dire questa è stata riformata dal governo Meloni e dal ministro Marina Calderone in modo che le donne possano basarsi su una exit la cui lancetta era messa due anni avanti rispetto alla precedente riforma. A ciò si deve aggiungere che servivano dei correttivi: oltre a Opzione donna, che andava migliorata e integrata secondo l’ex ministro Andrea Orlando, serviva anche il ripristino di Ape Sociale e serviva unicamente perché altrimenti gli italiani non avrebbero potuto nemmeno pensare di accedere alla pensione.



Adesso sappiamo che il governo, sicuramente spinto dalla crescita economica inattesa (superiore di uno 0,3% sul primo semestre 2023) ma che potrebbe fare addirittura crescere nel secondo trimestre del 2023 (rispetto al periodo dell’anno precedente) anche dell’1,8% sul PIL.

Dopo le ultime critiche il governo ha annunciato che il tanto discusso decreto lavoro che verrà approvato il 1 maggio 2023 e che vedrà l’eliminazione del reddito di cittadinanza in sostituzione della GIL, introdurrà anche una minima riforma pensioni 2023. Cioè il governo intende per lo meno mettere a tacere tutte le voci circa una mancata spendibilità dei fondi statali in merito al sistema previdenziale. Ma l’incertezza economico politica finirebbe comunque per compromettere la posizione dell’Italia nell’Eurozona anche se nell’ultimo anno, nonostante la crescita l’impatto nell’Eurozona è stato dello 0,1% a causa dell’abbassamento della media dovuto alla Germania.

Il decreto da 3,4 miliardi prevederà la proroga del contratto di espansione che potrebbe garantire una exit anticipata di 5 anni. In questo caso il contratto di espansione vedrà il termine ultimo spirare il 31 dicembre del 2025. Entro quell’anno dovrebbe senza ombra di dubbio essere stata approvata la riforma strutturale delle pensioni. A ciò verrebbe aggiunta la riconferma di Opzione donna, le minime portate a 1000 euro al mese così come richiesto da Forza Italia.

Riforma pensioni 2023: Opzione donna riconfermata

Riguardo ad Opzione donna, questa viene approvata ma soltanto con una exit a 60 anni invece che 58. La exit a 58 anni è garantita a coloro che hanno due figli in quanto è possibile avere uno sconto di un anno per ogni figlio.

Opzione donna inoltre garantirà una exit a 35 anni di contributi. La novità è che viene estesa a caregiver, invalide, lavoratrici licenziate o impiegate in aziende in crisi, assorbendo quindi una categoria che era stata prevista in Ape sociale.

Il problema tuttavia è sempre legato alle risorse, e questo andrà risolto entro la prossima legge di bilancio.