Entro il 16 ottobre, stando alle proiezioni del governo, arriverà finalmente la bozza della manovra che dovrà passare alle discussioni e poi all’approvazione entro la fine dell’anno. Ma all’interno ci saranno degli importanti focus come quello sulle pensioni e sui temi che riguardano il lavoro.
Riforma pensioni 2023: gli obiettivi del governo
Il governo Meloni conferma da un lato la cedolare secca al 5% sui premi di risultato, ma dall’altra apre un’importante discussione per capire se e come riconfermare la detassazione sui fringe benefit che, quest’anno, ammontano a 3 mila euro per i nuclei con i figli a carico. Se da un lato il governo insiste sul taglio al cuneo fiscale per avvantaggiare le aziende e il settore occupazionale, dall’altro discute su come sostenere le famiglie attraverso l’approvazione di misure che mirino a sostenere le famiglie numerose: e lì entrano in gioco la quasi totalità dei contributi di welfare che il governo ha erogato alle famiglie, compreso l’assegno unico con un minimo incremento per tutti i figli superiori al terzo.
Riforma pensioni: scenari futuri sul fronte pensioni
Ma il nodo più spinoso resta quello delle pensioni: la tanto agognata legge strutturale infatti non si potrà realizzare, almeno non quest’anno. Svanito il disincanto di dare vita al miracolo, in un paese come l’Italia che proprio non riesce a liberarsi dalla maledizione di dover riconfermare di anno in anno una misura ponte, come quest’anno, con la quasi certa riconferma di quota 103 bis e Ape sociale, capaci di traghettar ed il sistema previdenziale al 2024, anno in cui tutti sperano che la fantomatica riforma pensioni possa prendere vita ed essere resa strutturale. Eppure il fatto che una legge strutturale possa prendere vita nel 2024, anno in cui certamente non si registrerà la ripresa necessaria a trovare le risorse, alberga più nella speranza degli italiani che nella realtà tangibile dei conti.
Se già quota 41 è stata ritenuta dispendiosa e il governo ha preferito arrancare con una misura ponte, ignorando persino la proposta del Presidente dell’INPS, Pasquale Tridico che aveva invece proposto una riforma sostenibile sia per i conti pubblici, sia perle decurtazioni degli assegni mensili a lungo termine di coloro che avrebbero optato per una exit, è perché la proiezione degli scenari futuri non esclude del tutto il rischio di una bomba socio economica sul fronte previdenziale. La riforma pensioni dovrà infatti tenere conto necessariamente delle proiezioni delle sofferenze del sistema previdenziale: dal 2035 ci saranno più pensionati che lavoratori, ma dal 2050 il sistema previdenziale vedrà un solo lavoratore per ogni pensionato e il costo delle pensioni sarà eccessivo in rapporto al pil (15,8%, stando agli allegato del DEF 2023). Nel 2070 addirittura le spese pensionistiche saranno superiori alle entrate: ma ciò può giustificare l’inerzia del governo?