Il governo Meloni aveva annunciato sin dal giorno del suo insediamento a Palazzo Chigi, la volontà di voler lavorare a una nuova legge strutturale sulle pensioni, dopo che, la riforma Fornero, aveva creato scontento tra gli italiani, nonché disagi sociali ad alcune categorie che erano rimaste escluse e senza ammortizzatori sociali, gli esodati. Inoltre la Riforma Fornero ha spostato l’età pensionabile a 67 anni con un paletto contributivo fissato a 41 anni di contributi. E mentre si attendevano i due appuntamenti fissati per questo settembre, il governo Meloni non è riuscito ancora a tirare fuori la bozza di una riforma che superasse il limite anagrafico imposto dalla legge Fornero.
Riforma pensioni 2023: che prospettive ci sono entro dicembre
Non ci sono le risorse, nemmeno per proporre quota 41 universale, così come aveva stabilito il governo Meloni. La Riforma Fornero è nata per essere applicata integralmente, senza correttivi entro il 2030. L’obiettivo, quello sano della riforma, era ridurre la sofferenza delle casse statali. Infatti se nel 2030 si prevede che il numero dei pensionati supererà quello dei lavoratori anche di 2/3, nel 2050 il sistema previdenziale potrebbe seriamente arrivare al collasso.
Ma in ciò si inscrive anche il passaggio dal sistema previdenziale retributivo a quello contributivo che, proprio nel 2030 sarà ultimato e, contestualmente la necessità di una legge pensioni che possa accontentare tutte le categorie, sindacati e classi sociali, soprattutto in merito all’anticipazione dell’età anagrafica.
Riforma pensioni 2023: perché il 2024 potrebbe cambiare tutto
Ma una quota 41 universale sarebbe stata costosa esattamente come resta costosa una misura ponte come quota 103 bis. Adesso però il governo ci vede più chiaro e fa sapere che per la Riforma pensioni 2023, non c’è assolutamente possibilità di trovare risorse.
Quota 103 bis torna dunque nuovamente in auge soprattutto per il 2024, anno in cui potrebbe essere spostata la riforma pensioni, in vista di un miglioramento della condizione economica internazionale e un abbassamento dell’inflazione che, anche quest’anno, ha generato un aumento delle spese statali dovuto all’adeguamento di pensioni e stipendi all’indice perequativo. E dunque l’Inps, per conoscere tempi migliori dovrà attendere il 2024: solo allora si potrà discutere se possa essere resa fattibile la proposta di Pasquale Tridico.