Proprio poco prima del secondo incontro tra governo, Ministero del lavoro, parti sociali e sindacati, giunge una brutta notizia per una categoria dei lavoratori che potrebbe perdere tre anni di pensione a causa della riforma pensioni della Fornero che, a distanza di 11 anni, continua a creare molti problemi.
Infatti dal primo gennaio 2023 tutti coloro che sono nati dal 1959 e che non hanno potuto quindi aderire a quota 100, sarebbero costretti a perdere 3 anni prima di poter accedere alla pensione.
Riforma pensioni 2023: chi potrebbe impiegare tre anni in più
Con le precedenti leggi sulle pensioni infatti i lavoratori potevano accedere alla pensione a partire dai 60 anni, purché ci fossero 38 anni di contributi versati. Oppure 62 anni di età con 38 anni di contributi versati. Coloro che sono invece nati nel 1959 hanno potuto fare richiesta di quota 102, e, sulla base degli anni di contribuzione anche a quota 100.
Ma questo è falso soltanto per coloro che sono nati entro il 31 dicembre del 1959. Coloro che invece sono nati dal primo gennaio in poi dell’anno successivo, il 1960 dovrà aspettare fino all’età di 67 anni e quindi ben tre anni in più per godere dell’assegno pensionistico.
I lavoratori precoci potrebbero usufruire tuttavia dell’Ape socialeAndrea Orlando, avrebbe voluto rendere strutturale e che sicuramente potrebbe costituire una valida exit per tutte le criticità del sistema previdenziale.
Di italiano non ha mai avuto un sistema previdenziale efficiente e lungimirante, per questo motivo non esiste ad oggi una legge strutturale che possa risolvere tutta la problematica che è stata generata da una quasi totale assenza normativa efficace. C’è chi ancora propone di rendere strutturale e fondi pensione complementari e integrativi.
Riforma pensioni 2023: le attuali proposte e le criticità del sistema previdenziale
Attualmente il governo sta lavorando ad una nuova riforma pensioni 2023 legge sulle pensioni che anticipi la exit a 62 anni. Tuttavia questo non è possibile perché per lo stato costerebbe troppo.
Allo stesso modo però quota 41 senza il paletto dell’età anagrafica potrebbe essere controproducente, soprattutto per quelle categorie di lavoratori che non hanno avuto una continuità contributiva.
Parliamo ad esempio dei giovani, ma anche e soprattutto di coloro che hanno più di 40 anni di età e provengono da territori in cui la disoccupazione è più elevata, come i territori del mezzogiorno. Secondo alcuni recenti studi queste persone potrebbero raggiungere la possibilità di andare in pensione con un assegno minimo soltanto in una finestra che va dai 70 ai 74 anni di età.