Dopo le dichiarazioni del sottosegretario al Ministero del Lavoro Claudio Durigon, le curiosità dei più sono state fugate: il governo non ha un’altra ricetta rispetto all’ipotesi di proroga per un altro anno della misura ponte: quota 103 anche per il 2024. Nel frattempo la Meloni cerca di soddisfare qualche languore annunciando le possibili soluzioni tampone che potrebbero rientrare in bozza. Ma in che modo queste possono soddisfare le esigenze socio economiche del sistema previdenziale e contemporaneamente quelle del corpo dei lavoratori?
Riforma pensioni 2023: le soluzioni di Giorgia Meloni
La domanda non ha una facile risposta in quanto, anche se dovesse essere rafforzata la previdenza complementare, questa sarebbe comunque a carico dei lavoratori o, al massimo, delle aziende. Data l’attenzione che ha l’attuale esecutivo sul costo del lavoro a carico delle aziende, si potrebbe ipotizzare l’introduzione di un meccanismo detrattivo rafforzato, rispetto a quello attualmente già in vigore. Sicuramente, almeno sulla base delle indiscrezioni, un ulteriore ammortizzatore utile ad anticipare la exit potrebbe essere quello del riscatto gratuito della laurea che potrebbe valere per i giovani lavoratori laureati un risparmio da 20 a 25 mila euro circa. E ciò potrebbe costituire un’accelerazione verso la pensione, ma sicuramente non idonea a coprire i casi più gravi di discontinuità contributiva che hanno portato l’INPS ad ipotizzare un’uscita dal mondo del lavoro anche a 74 anni per i giovani di 24 o 25 anni che dovessero cominciare adesso.
Riforma pensioni 2023: niente scalfirà il requisito contributivo dei 41 anni?
Tuttavia non viene messa in discussione la clausola del requisito contributivo legato ai 41 anni che costituisce il fondamento della riforma Fornero, un requisito fondamentale per tenere in piedi il sistema previdenziale dato che quota 100 e quota 102 (che avevano un calcolo contributivo più morbido, rispettivamente 38 anni di contributi e 62 anni di età oppure 38 anni di contributi e 64 anni di età).
Ma una riforma pensioni che possa accontentare tutti deve necessariamente considerare anche un cuscinetto che possa avvantaggiare quei lavoratori che a 41 anni di contributi non potrebbero mai arrivare: non solo coloro che hanno fatto lavori gravosi, ma anche coloro che hanno dovuto dividersi tra famiglia e lavoro, spesso operando delle rinunce, come i caregivers o le persone invalide. Si tratta di trovare una soluzione alla platea di lavoratori che è molto variegata e di cui una buona parte ha dovuto pagare il prezzo di una quasi totale assenza di una politica previdenziale solida.
Una terza ipotesi di soluzione potrebbe essere proprio quella di unificare e strutturalizzare Ape sociale e Opzione donna riducendo, per particolarissimi casi, il requisito dell’età contributiva, in modo da avvantaggiare i lavoratori con discontinuità contributiva. Ma ciò potrebbe bastare a soddisfare le esigenze di tutti? O potrebbe crearsi una nuova platea di esodati perennemente lavoratori? Sarà la commissione ad hoc a chiarirlo il 5 settembre prossimo, in occasione del nuovo tavolo di lavoro.