Ormai quando si tratta di parlare di riforma pensioni 2023 tutti quanti storcono il naso sono, sia perché quasi nessuno crede al fatto che il governo riuscirà effettivamente a mettere a punto una legge strutturale, sia perché qualsiasi sarà la scelta fatta dal governo, questa sicuramente non potrà aiutare tutti.

Riforma pensioni 2023: il governo riuscirà a varare una riforma per tutti?

Se infatti è come sottolinea anche il professor Giuliano Cazzola sul sito pensionipertutti, il governo sta lavorando ad un alleggerimento del requisito anagrafico di opzione donna portandolo da 60 a 59 anni, è pur vero che dall’altro canto il requisito anagrafico è stato già innalzato e dunque qualsiasi alleggerimento sarebbe in realtà una vittoria di Pirro.



Naturalmente il governo farà di tutto per mettere nero su bianco la riforma pensioni entro il 2024 ma la cosiddetta flessibilità di quota 41 tranquillizzerà prevalentemente la lega e i sindacati. Perché comunque resta sempre il problema che quota 41 per tutti non assicurerà una exit lavorativa adeguata ad un’età pensionistica inferiore a quella che abbiamo adesso.



Riforma pensioni 2023: quale sarà il prezzo per i lavoratori?

Come è stato già stimato dall’INPS infatti un giovane di 25 anni che lavora da un anno dovrebbe riuscire ad acquisire i requisiti per presentare la domanda pensionistica non prima dei 70 anni e, in molti casi di discontinuità contributiva che, nella fattispecie, rappresentano la maggioranza, sarà possibile presentare domanda a 74 anni.

È chiaro che i tavoli di lavoro avanzati lo scorso anno concernevano piuttosto un exit pensionistica a 64 anni di età oppure a 62 anni di età con una riduzione sul numero totale dei contributi richiesti che poteva arrivare a 38. Ma anche la riforma di Opzione donna è finita per aumentare l’età pensionabile delle donne e per ipotizzare l’estensione dello strumento agevolativo anche per gli uomini. In quest’ottica, visto che sarebbero in molte le categorie poco contente, si rivela più utile la proposta avanzata da Pasquale tridico che, se da un lato non toglie nulla allo stato in quanto i lavoratori potrebbero beneficiare di un assegno ridotto soltanto prima di raggiungere i 67 anni, dall’altro favorirebbe gli stessi lavoratori allora quando questi dovessero ottenere un assegno pensionistico integrale.