Il governo Meloni è ancora impegnato a definire gli argomenti che confluiranno nel documento di economia e finanza che verrà presto presentato a palazzo Chigi: aumenta la suspence per chi si attende giustamente che verrà fatto accenno sulla strada che intraprenderà il Ministero del Lavoro per la riforma pensioni 2023. Il nuovo osservatorio istituito da Marina Calderone servirà a dare una minima indicazione sulle modalità che intende seguire l’esecutivo per la legge strutturale? E soprattutto, ciò sarà dichiarato nel primo semestre 2023 o verrà spostato nella Nadef di settembre dopo i primi studi dell’osservatorio ministeriale?
Riforma pensioni 2023: dove non arriva la Meloni arriva la Fornero?
Fino a questo momento l’Italia ha compiuto molti passi in dietro e ha ridisegnato costantemente le proprie leggi previdenziali: se da un lato infatti si sta discutendo se anticipare l’età anagrafica destinata alla exit lavorativa, dall’altra il governo ha cominciato a sponsorizzare una quota 41 universale in grado di privilegiare coloro che hanno cominciato a lavorare, mantenendo una continuità retributiva, sin da giovanissimi.
Ma per i giovani di oggi e per coloro che hanno un’età superiore ai 50 anni e che hanno un cassetto previdenziale che ha subito fortemente gli effetti collaterali della crisi economica degli ultimi anni quota 41 potrebbe costituire una sorta di condanna, un modo per non uscire mai dal mondo del lavoro benché si sia abbondantemente superata l’età anagrafica dei 70 anni. Draghi ha dovuto spostare la riforma previdenziale dati gli effetti che il conflitto internazionale ha causato in Ucraina, ma si sa che la sua intenzione era di abbassare l’età pensionabile a 65 anni, invece di 67 previsti dalla Legge Fornero.
Riforma pensioni 2023: le parole di Giancarlo Giorgetti
Il governo e, nella fattispecie, il Ministero dell’Economia e delle Finanze con a capo Giancarlo Giorgetti, hanno dichiarato all’interno dell’ultimo documento programmatico di bilancio (presentato a novembre 2022 e propedeutico sia alla legge di bilancio, votata il 28 dicembre 2022 che al def che sarà presentato entro fine aprile, n.d.r.), ha dichiarato che:
“Dal lato della spesa primaria, la previsione della spesa pensionistica è incrementata di circa 0,6 miliardi nel 2023 e di circa 7,1 miliardi nel 2024 rispetto allo scenario a legislazione vigente del DPB di ottobre. Tali maggiori oneri sono sostanzialmente correlati alle diverse ipotesi di indicizzazione delle pensioni a seguito della revisione del profilo previsionale del tasso di inflazione.
Gli incrementi della spesa nominale per pensioni rispetto alle precedenti previsioni sono pari a circa 5,6 miliardi in termini strutturali nel 2025. L’incremento nel 2025 è pari a circa 6 miliardi per il complesso della spesa per prestazioni sociali in denaro. la manovra prevede modifiche alla possibilità di accesso al pensionamento anticipato limitatamente ad alcune categorie di soggetti, quali coloro che maturano nel 2023 i requisiti di 41 anni di contributi e di 62 anni di età, prevedendo per gli stessi anche una decontribuzione nel caso in cui optino per il trattenimento in servizio. Sono inoltre confermate le misure Opzione donna, con una rivisitazione, e Ape sociale per i lavori usuranti“.
Ebbene dei punti programmatici il governo ha svolto poco e male, in p articolare ha snaturato Opzione donna riformandola e aumentando la exit da 58 a 60 anni, mentre Ape sociale non è stata ancora riconfermata e, ci si auspica, verrà introdotta nella normativa strutturale sulle pensioni, almeno nel 2024 o nella Nadef 2023 che verrà presentata a fine settembre.
Riforma pensioni 2023: l’importanza di una exit a 64 anni
Sicuramente quota 100 e poi quota 102 avevano promesso una exit pensionistica difficile da riprodurre a livello legislativo: infatti i sindacati stavano lottando per avere una exit a 64 anni, i più temerari cercavano di forzare la corda per avere una legge strutturale in grado di introdurre la possibilità di andare in pensione a 62 anni.
Mai gli italiani si sarebbero aspettati che, una volta salito al governo lo stesso Matteo Salvini segretario della Lega e componente della maggioranza di governo, si fosse proceduto ad una proposta che contemplasse una quota 41 che, nella maggioranza dei casi avrebbe addirittura posticipato l’età pensionabile dei lavoratori. Salvo i rarissimi casi di continuità contributiva sin dall’età di 14 anni (prima della riforma sul lavoro minorile, n.d.r.), l’Italia non è un paese caratterizzato da solidità del sistema previdenziale e contributivo. E così quota 41, che a sorpresa piace persino ai sindacati, rischia di fare più danni che altro.
Secondo recenti studi infatti un giovane di 25 anni che ha cominciato a lavorare da un anno potrebbe dover spostare la lancetta per la pensione a 70 anni d’età anche in presenza di una quota 41 universale.
Il capitolo pensioni dunque rischia da qui in avanti di sollevare l’incoerenza di molti dei governi che si sono avvicendati in alcuni decenni e di mettere seriamente a rischio, salvo colpi di coraggio, il mondo del lavoro e i diritti dei lavoratori.