La riforma delle pensioni 2023 vedrà sicuramente un dibattito molto acceso in vista dell’elaborazione di una legge previdenziale che verrà presentata ipoteticamente a maggio, ma che potrebbe essere anticipata sicuramente in vista della presentazione del documento di economia e finanza, il def che, solitamente, viene proposto ad aprile.



Ma la legge sulle pensioni non dovrà tenere conto di tutti coloro che ambiscono ad uscire dal mondo del lavoro a 62 o 64 anni, come vorrebbero i sindacati, o con quota 41 secca, come vorrebbe il ministro del lavoro Marina Calderone: lo scopo della prossima legge sulle pensioni che si preannuncia “strutturale” è quella di disegnare una exit a breve termine, che tenga però presente anche del costo delle pensioni minime, che lo stesso governo vorrebbe portare a mille euro. Almeno è quello che ha promesso Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, ma non è ancora chiaro dove troveranno le coperture.



Riforma pensioni 2023, Brambilla: “Le minime a 1000 euro sono irrealizzabili”

Certo il primo passo l’hanno fatto: una legge sulle pensioni che prevede quota 103 e fa gola solo a 48 mila lavoratori ma che, in sostanza, consentirebbe di avere un pensionamento con una decurtazione sull’assegno mensile che va dal 13% al 30% (in maniera progressiva). Il taglio sull’indice perequativo inoltre e la stretta sul reddito di cittadinanza hanno consentito al governo di spostare dei fondi sulle pensioni minime che sono state così portate da 524 a 600 euro al mese. Ma sulla base di quanto ha dichiarato il presidente del Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, che aveva già sottolineato come la riforma pensioni con quota 41 secca avrebbe penalizzato i giovani, adesso ha dichiarato che portare le pensioni minime a 1000 euro al mese entro tre anni è una “proposta irrealizzabile” perché costerebbe 27 miliardi l’anno e “l’Inps in pochi anni andrebbe in default”. Nel corso della presentazione del decimo rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2021”, il Presidente Brambilla ha inoltre dichiaratoSe fossero garantiti a tutti 1.000 euro al mese, pur non avendo versato i contributi – aggiunge Brambillapotrebbero risentirsi quei lavoratori che versando i contributi arrivano a 1000 euro al mese, che netti diventano poi meno“.



Riforma pensioni 2023: quali misure verranno prese per le pensioni minime quando il retributivo sarà al 100% nel 2030?

Le affermazioni del dottor Brambilla sono basate su uno studio che ha tenuto conto degli anticipi ed età di pensionamento, oltre agli andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2021.

Per quanto riguarda invece le pensioni di chi mira ad una exit lavorativa che penalizzi poco, quota 41 secca, come abbiamo detto, non tiene minimamente conto dei giovani e di coloro che hanno avuto fino a questo momento una discontinuità contributiva. Per queste persone, allo stato attuale non c’è un salvagente. Il 19 gennaio 2023, il governo ha aperto i primi tavoli con i sindacati che hanno discusso delle varie proposte da integrale ad una legge previdenziale, si spera, definitiva e risolutiva dei problemi delle varie categorie. Ma la strada è ancora in salita. Entro il 2030 infatti saranno estinte le posizioni dei cosiddetti retributivi puri e il sistema sarà al 100% contributivo. In quel caso è impossibile pensare a un ascensore sociale per coloro che si ritroveranno con un assegno veramente minimo dovuto a una discontinuità contributiva al 100%. Peggio ancora, coloro che hanno svolto per molti anni lavori a tempo parziale e che percepiranno un assegno pensionistico davvero magro. Per tutte queste persone sono state avanzate delle proposte integrative alla riforma pensioni 2023: dal potenziamento del sistema previdenziale integrativo, all’Ape Sociale.

Riforma pensioni 2023, Cesare Damiano: “Serve il criterio di flessibilità universale”

La riforma delle pensioni 2023 deve introdurre un “criterio di flessibilità universale” secondo Cesare Damiano, ex ministro del Lavoro e presidente di “Lavoro e welfare“. “Il confronto tra Governo e parti sociali sul tema delle pensioni. Il ministro del Lavoro Marina Calderone, dopo le misure-ponte della legge di Bilancio, ha annunciato una riforma `strutturale’ del sistema. Questo intervento, che ci auguriamo arrivi a buon fine, è la condizione di partenza per superare la legge Fornero, che non è mai stata cancellata, al di là delle dichiarazioni propagandistiche e delle promesse elettorali“. Per Damiano “la chiave di volta è quella di introdurre un criterio universale di flessibilità nell’uscita dal lavoro verso la pensione, mano a mano che, con il passare del tempo si restringe, fino a scomparire, la platea dei lavoratori cosiddetti `retributivi'”.

Il modello di flessibilità – secondo l’ex ministro – deve tener conto, ovviamente, della diversa condizione dei lavori gravosi e usuranti. Accanto a questo si tratta di assicurare ai giovani una pensione di garanzia dignitosa, nonostante la discontinuità del lavoro, valorizzando i loro contributi: ad esempio, attraverso il riconoscimento dei periodi formativi; di riconoscere il lavoro di cura ai fini contributivi, in particolare quello delle donne; infine, di tornare a valorizzare e rilanciare la previdenza complementare, anche attraverso un nuovo periodo di silenzio assenso per l’iscrizione ai Fondi“. Conclude Damiano: “Occorrerà anche aprire un confronto sul tema della indicizzazione delle pensioni, dopo il taglio effettuato dall’ultima legge di Bilancio“.