COSA CAMBIA PER I PENSIONAMENTI ANTICIPATI

Daniele Cirioli su Italia Oggi parla di un “giro di vite sui prepensionamenti. Dal prossimo anno, infatti, Opzione donna sarà riservata alle lavoratrici di 61 anni al 31 dicembre 2023 (+1 anno) e ci vorranno 63 anni e 5 mesi per l’Ape sociale (+5 mesi). Tre penalizzazioni per ex Quota 103: la finestra sale a 7 mesi ai privati (+4 mesi) e 9 mesi ai pubblici (+3 mesi); la pensione sarà calcolata con la regola contributiva; fino a 67 anni, l’importo massimo erogabile sarà di 4 volte il minimo Inps (in precedenza 5 volte), cioè 2.394 euro mensili (circa 600 euro in meno). Anche i lavoratori giovani, quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 (per questo rientranti totalmente nel regime contributivo), dovranno attendere una finestra di 3 mesi per pensionarsi e l’importo massimo erogabile, fino a 67 anni, sarà 5 volte il minimo Inps, cioè 2.993 euro; ma è facilitato l’accesso: è sufficiente maturare una pensione pari all’assegno sociale, non più 1,5 volte”.



L’ADEGUAMENTO ALL’INFLAZIONE DEGLI ASSEGNI

In un articolo pubblicato sul sito del Corriere della Sera viene ricordato che per le pensioni “l’adeguamento all’inflazione del 2023 inizierà da gennaio, ma per ragioni amministrative e gestionali, i pensionati potranno vedere gli effetti sugli assegni nei mesi successivi e con riconoscimento degli arretrati. Tra l’altro, l’indice inflazionistico applicato a inizio anno è provvisorio, perché basato sui valori effettivi dei primi nove mesi dell’anno precedente e su quelli stimati per l’ultimo trimestre. Dunque, bisogna attendere il valore definitivo che può vedere un miglioramento, un peggioramento o nessun adeguamento”. Tra l’altro, “il decreto legge Anticipi ha stabilito che il conguaglio riferito all’inflazione definitiva 2022 verrà effettuato a dicembre 2023 e non a gennaio 2024. E dato che l’indice inflazionistico provvisorio per il 2023 è del 7,3%, mentre quello definitivo è dell’8,1%, a dicembre i pensionati riceveranno un conguaglio parametrato a 0,8 punti percentuali calcolato su 13 mensilità”.



IL SONDAGGIO DELLA FADOI

Come riporta Repubblica, Fadoi, la Federazione degli internisti ospedalieri, ha realizzato “un sondaggio su un campione di professionisti che lavorano, sia da molto tempo che da meno di 10 anni, nel Servizio sanitario nazionale” dal quale emerge che il 46% dei medici lascerebbe subito il lavoro per evitare tagli alla pensione. “La percentuale è così alta, spiegano da Fadoi che se ‘pure nel 10% dei casi questa intenzione si trasformasse in realtà significherebbe la fuoriuscita anticipata dai nostri ospedali di decine di migliaia di professionisti’. Tra le cause che spingono verso il pensionamento anticipato c’è (nel 57% dei casi) la paura di subire un taglio alla propria pensione, magari con misure retroattive come quelle introdotte nella manovra, anche se poi alleggerite con un successivo emendamento. Ne 31% pesano i carichi di lavoro eccessivi, quasi il 10% dei professionisti vorrebbe invece chiudere la carriera all’estero e il 2% lamenta la bassa retribuzione”. Addirittura, vi è chi, “se tornasse indietro, non si iscriverebbe più a Medicina”.



L’ANALISI DI IERO

In un post publicato su Econopoly, blog del sito del Sole 24 Ore, Antonino Iero, già responsabile del Centro Studi e Ricerche Economiche e Finanziarie di UnipolSai, spiega che “il contributo degli immigrati alle pensioni del futuro si avrebbe solo laddove questi fossero inseriti in posti di lavoro in regola con le normative fiscali e contributive. Così, purtroppo, nella maggior parte dei casi non è e non sembra vi siano realistiche condizioni affinché questo avvenga. Peraltro, una buona parte degli immigrati arriva in Italia con la ferma intenzione di andarsene verso i più ricchi Paesi del Nord Europa; una discreta quota di chi rimane trova lavori precari e in “nero” (agricoltura, edilizia, logistica); altri ancora non riescono ad andare oltre strategie di pura sopravvivenza”. Per riequilibrare il sistema pensionistico, evidenzia Iero, occorre aumentare i salari, e quindi i contributi previdenziali, tramite un incremento della produttività.

RIFORMA PENSIONI, I DATI DELLA RELAZIONE TECNICA ALLA MANOVRA

In un articolo su Sole 24 Ore viene evidenziato che “in base alla relazione tecnica della Legge di bilancio 2024, l’anno prossimo dovrebbero accedere a Quota 103, Opzione donna e Ape sociale complessivamente quasi 32mila persone. Le stime relative alla legge 197/2022 indicavano quasi 60mila uscite nel 2023”. Dunque dall’anno prossimo scatterà una stretta sui pensionamenti anticipati di non poco conto. Rispetto a Quota 103, infatti, potrebbe diventare conveniente il pensionamento di anzianità con 42 anni e 10 mesi di contributi (41 anni e 10 mesi per le donne) indipendentemente dall’età, anche perché non prevede nessun ricalcolo contributivo dell’assegno. Il quotidiano di Confindustria ricorda in ogni caso che due novità della manovra “cumulate, determineranno maggiori pensionamenti rispetto alle regole attuali”.

GLI INTERVENTI SULLE PENSIONI CONTRIBUTIVE

Si tratta “degli interventi sulle pensioni di vecchiaia e anticipata calcolate interamente con il metodo contributivo (attualmente riguardano nella maggior parte dei casi autonomi e parasubordinati iscritti alla gestione separata Inps). Lasciando invariati i minimi di età (67 anni per la vecchiaia, 64 per l’anticipata) e di contributi (20 anni) si interviene sull’importo minimo mensile necessario per accedere al pensionamento: per la vecchiaia sarà pari all’assegno sociale (nel 2024 circa 534 euro lordi al mese) invece dell’attuale 1,5 volte; per l’anticipata passerà da un minimo di 2,8 volte l’assegno sociale, a 3 volte in via generale (ridotto a 2,8 volte per donne con un figlio e a 2,6 con almeno due figli). L’effetto combinato di questi due interventi dovrebbe corrispondere a 5mila pensioni in più l’anno prossimo rispetto alle regole attuali”.

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