Dopo aver annunciato in pompa magna una potenziale riforma pensioni, basata sulla possibile estensione di quota 41 con l’eliminazione dell’età anagrafica, il governo ci ripensa e non inserisce nel DEF la riforma pensioni: si tratta solo di assenza di coperture o di dover trovare le coperture necessarie per elaborare la riforma pensioni col minor impatto sul Pil?



La domanda non è scontata dato che entro il 2024 si calcola un ulteriore incremento del costo delle pensioni sul pil che passa dal 15,2% al 16,2% rispetto ai dato del 2018.

Riforma pensioni 2023: spesa incrementata di 50 miliardi nel 2024

Una mossa per consentire una exit anticipata solo ai pochi fortunati che avessero avuto una continuità contributiva, ma con seri problemi per tutti coloro che pur essendo ormai in età non hanno accumulato nemmeno 30 anni di contributi. Adesso la spesa per le pensioni è passata da 268,5 miliardi del 2018 ai 317,9 miliardi del 2023: un incremento di ben 50 miliardi, tecnicamente più di una finanziaria.



Quota 41universale, è una manovra che avrebbe arrecato più danni ai lavoratori che altro, dal momento che l’attuazione di questa riforma avrebbe necessitato che tutti avessero avuto una continuità contributiva. Ma non è sicuramente per l’inadeguatezza dei programmi pensionistici della maggioranza, se il governo ha deciso di non presentare nulla nel documento di economia e finanza (DEF), quanto perché quota 41 è solo in apparenza economica: sarebbe infatti costata 4 miliardi il primo anno e 9 dal secondo.

A lungo termine la riforma si sarebbe rivelata davvero onerosa. E allora la domanda è: il governo ha davvero intenzione di promuoverla appena la crescita economica si sarà fatta più sostanziosa? Avevamo già detto che con ogni probabilità, una qualsiasi riforma pensioni avrebbe preso le mosse dal gennaio 2025, ma quello che c’è da domandarsi è se, visto l’incremento del costo che la misura avrebbe sulle casse statali e visto che le proiezioni di qui in avanti, vale a dire entro i prossimi anni (dal 2024 al 2035 almeno), vedono il costo del sistema previdenziale sempre più in crescita, è possibile che il governo voglia definitivamente archiviare quota 41 in favore di una nuova misura che sia meno onerosa per lo stato? In quest’ultimo caso c’è da domandarsi anche se i costi non venissero pagati dai lavoratori attraverso una rinuncia sostanziosa sull’assegno mensile.



Riforma pensioni 2023: si procederà di quota in quota?

L’unica cosa certa è che quota 41 universale, rinviata o eliminata, darà spazio necessariamente a una misura ponte che dovrebbe essere approvata entro la prossima legge di bilancio. Secondo alcuni analisti questa misura potrebbe essere proprio quota 103, che è stata approvata dal governo a seguito della bocciatura di quota 102, altra misura che aveva il problema di costare troppo, e affinché non venisse restaurata la legge Fornero. Questione d’immagine, non altro.

Ma secondo Il Sole 24 Ore potrebbe anche prendere piede l’ipotesi della staffetta generazionale, quella che prevede l’utilizzo del part time per i lavoratori in prossimità della pensione: un po’ come previsto da Enpam per i medici di famiglia. Una mossa che potrebbe, almeno in un primo momento, alleggerire i costi previdenziali delle casse relative alle varie categorie e dell’INPS, e allo stesso tempo favorire il ricambio generazionale nei vari settori