Mancano due giorni al tavolo di lavoro, il terzo da quando è cominciata la governance di Giorgia Meloni e Marina Calderone al Ministero del lavoro.

Da allora moltissime promesse si sono avvicendate e una serie di bozze di riforma pensioni 2023 hanno cominciato a circolare tra i corridoi ministeriali che facevano pendere l’ago della bilancia un po’ verso quota 102 modificata e un po’ verso una ipotesi di quota 41 universale. E mentre c’è chi inneggia alla proposta di Tridico, c’è chi fa notare che non sempre



Riforma pensioni 2023: cosa accadrà il 28 febbraio

Eppure pare che il ministro Marina Calderone stia optando per la seconda, ma non potendo mettere a punto una riforma strutturale entro la fine di quest’anno, dovrà necessariamente aspettare la fine del 2024 per poter comprendere quali saranno le risorse da destinare al sistema previdenziale e dunque su quali basi potrà fondare una riforma strutturale che, molto probabilmente, sarà realizzata con una quota 41 senza il limite dell’età anagrafica.



Eppure questa proposta di riforma pensioni 2023 è ancora molto criticata in quanto non contempla minimamente gli ascensori sociali di cui l’attuale sistema previdenziale avrebbe assoluto bisogno anche perché la maggior parte dei lavoratori non ha un contribuzione continuativa.

Riforma pensioni 2023: l’ipotesi di introdurre la revisione dei fondi integrativi

In tutti i casi il raggiungimento dell’età pensionistica per i giovani di oggi è stimato intorno ai 70 anni con qualche minima variazione che potrebbe far oscillare la fine dell’attività lavorativa tra i 71 e i 74 anni. Questi sono i risvolti negativi della discontinuità contributiva che rendono la riforma pensioni ancora più difficile che mai.



Nel terzo tavolo di lavoro si vocifera che dovrebbero discutere anche dei fondi integrativi, quelli che potrebbero, ma il condizionale è sempre d’obbligo, salvare i destini di molte persone, proprio quelle persone che potrebbero vedersi slittare l’età di pensionamento ben oltre i 70 anni.

In questo senso i fondi integrativi potrebbero costituire una valida alternativa ai contributi mancanti così da integrare gli ascensori pensionistici come Ape sociale, alleggerendo in un certo senso il carico statale. La partita è ancora aperta.