I DATI SUL GENDER GAP
Come riporta Ansa, dalle tabelle del Monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento emerge che “nei primi tre mesi del 2023 sono state liquidate 174.610 pensioni complessive con decorrenza nel trimestre con un importo medio di 1.111 euro al mese, ma se per gli uomini l’importo medio è stato pari a 1.357 euro, per le donne è stato di 904 euro, pari al 33,38% in meno”. Inoltre, “per le donne sono molto meno presenti le pensioni anticipate, quelle mediamente più alte, con 17.111 assegni a fronte di 34.472 per i maschi. Inoltre, le pensioni anticipate per gli uomini valgono in media 2.043 euro al mese e per le donne 1.527 euro (-25,26%)”. C’è poi un dato interessante riguardante Opzione donna, che dimostra quanto sia “efficace” la stretta varata con la Legge d bilancio (che, secondo Il Sole 24 Ore, potrebbe essere rivista, almeno parzialmente nel Decreto lavoro di prossima emanazione). Nel primo trimestre dell’anno, infatti, i trattamenti erogati sono stati 151, contro i 4.185 dello stesso periodo del 2022.
I DATI INPS SULLE PENSIONI NEI PRIMI 3 MESI DEL 2023
Dopo il via libera del Governo Meloni alla riforma pensioni di Quota 103 per tutto l’anno 2023, arrivano i dati Inps sull’andamento e le erogazioni degli assegni nei primi tre mesi del nuovo anno: tra gennaio e marzo 2023 sono state liquidate 174.610 pensioni, con decorrenza nel trimestre con un calo del 26,22% rispetto allo stesso periodo del 2022.
I dati emergono dalle tabelle del Monitoraggio sui flussi di pensionamento dell’Inps, secondo i quali si è registrato «un calo più consistente per le pensioni anticipate rispetto all’età di vecchiaia con 51.583 assegni a fronte dei 83.153 del primo trimestre 2022 (-38%)». Il dato del 2023 potrà crescere solo nel caso di nuovi assegni liquidati con decorrenza primo trimestre, ricordando che proprio in questo anno è attiva la riforma pensioni di Quota 103 (62 anni di età e 41 di contributi) in sostituzione di Quota 102. (agg. di Niccolò Magnani)
L’ATTESA PER IL DECRETO LAVORO
Il Decreto lavoro che il Governo si appresta a varare lunedì prossimo, come spiegato ieri, potrebbe contenere interventi sulla previdenza. Il Sole 24 Ore ha dato conto infatti di pressioni in merito da parte di Lega e Forza Italia, soprattutto per un aumento delle minime, magari anticipando in parte l’adeguamento all’inflazione che scatterebbe dal prossimo 1° gennaio. Non è da escludere, anche perché meno costoso, un intervento su Opzione donna. Tuttavia, come ricorda il quotidiano di Confindustria, “anche se dovesse ottenere il via libera, il pacchetto previdenziale del decreto non rappresenterebbe comunque un anticipo della riforma pensionistica. Che da protagonista della campagna elettorale in pochi mesi si è trasformata in una illustre sconosciuta, o quasi. Il superamento della legge Fornero viene di fatto ignorato dalla maggioranza nei ‘positivi’ pareri sul Def espressi dalle commissioni Lavoro della Camera e Affari sociali-Lavoro del Senato, dopo che era già sparito dai radar del Governo”.
LE CERTIFICAZIONI NECESSARI PER I LAVORATORI PRECOCI
Il patronato Acli ricorda che i lavoratori precoci, ovvero coloro che hanno iniziato “ad avere i contributi previdenziali prima del 1/1/1996 e poter far valere nella propria posizione assicurativa almeno un anno di contributi previdenziali accreditati prima di aver compiuto il 19° anno di età”, possono accedere alla pensione “al raggiungimento dei 41 anni di contributi a prescindere dall’età anagrafica”. Oltre a farsi certificare dall’Inps lo status di precoce, i richiedenti devono essere disoccupati oppure “aver svolto attività usuranti per almeno 7 anni negli ultimi 10 precedenti la domanda”, o ancora essere invalidi almeno al 74% piuttosto che assistere “da almeno sei mesi un familiare convivente affetto da handicap” o rientrare “in una delle categorie ‘lavori gravosi’”. Si dovrà comunque tenere presente che fino al compimento dei 67 anni (requisito per la pensione di vecchiaia) “la pensione anticipata per i lavoratori precoci non è cumulabile con redditi da lavoro dipendente o autonomo prodotti in Italia o all’estero”.
RIFORMA PENSIONI 2023 , LE PAROLE DI TRIDICO
In un articolo pubblicato su MF, Pasquale Tridico sottolinea come i dati demografici giochino a sfavore della sostenibilità del sistema pensionistico. Bisognerebbe cercare di fare in modo che ci sia un rapporto tra lavoratori e pensionati pari a 1,5 (oggi è 1,4).
Per il Presidente dell’Inps, tutto questo “si può fare, concentrando però azioni, politiche e interventi sui quattro principali obiettivi: aumentare il numero di occupati, soprattutto al Sud, tra donne e giovani, portandolo sopra 26 milioni; ridurre il numero di lavoratori in nero, oggi oltre a 3 milioni; allargare i flussi migratori sulla base della domanda di lavoro e delle esigenze di fabbisogno; riportare il numero dei nati intorno al valore del 1990, ovvero di 600 mila”.
RIFORMA PENSIONI 2023, L’IMPORTANZA DEL LAVORO
Infatti, “una coorte di 600 mila nati, con scenari occupazionali realistici nei successivi 20 anni, permetterebbe di mantenere il rapporto lavoratori/pensionati sopra 1,5 e sarebbe capace di sostituire adeguatamente la coorte di pensionati. Tuttavia gli interventi volti a riequilibrare le proiezioni demografiche producono effetti lenti. Siamo in grave ritardo e occorrerà molto tempo per rimediare. Nell’immediato non è quindi possibile prescindere dalle politiche di controllo dell’immigrazione, rendendole più fluide, al fine di evitare che la carenza di mano d’opera qualificata si traduca in un declino della produzione. Tanto più che anche per i prossimi due decenni difficilmente si avrà un’inversione di tendenza, essendo già nate meno donne (cui è affidata la natalità) rispetto ai due decenni precedenti. Il lavoro rimane il punto fondamentale”.
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