RIFORMA PENSIONI, IL NODO DELLA SPESA ASSISTENZIALE

Alberto Brambilla è stato tra i primi sostenitori della necessità di separare previdenza e assistenza nel computo della spesa pensionistica italiana. E oggi torna a evidenziare che l’aumento delle pensioni minime rappresenta una nuova zavorra di assistenzialismo che incide non poco sulle poste di bilancio, finendo per penalizzare poi la previdenza e non solo. Questa situazione, come noto, potrebbe peggiorare se nella prossima Legge di bilancio si aumentasse ulteriormente l’importo delle minime, pur limitato a cittadini più anziani. Il punto, ripetuto spesso dal Presidente di Itinerari previdenziali, è che chi percepisce una pensione esigua ha evidentemente versato pochi contributi durante la propria vita lavorativa.



LA SEPARAZIONE DIFFICILE DA ATTUARE

Questo è ancora più vero se si considera che il sistema misto/retributivo è ancora prevalente rispetto a quello contributivo. Certo, vi possono essere diverse ragioni per cui si sono versati pochi contributi, ma di fondo resta che si è lavorato regolarmente per pochi anni e dunque è poi la fiscalità generale a dover intervenire per evitare situazioni di povertà. È chiaro che tra i beneficiari di questa misura vi può essere chi ha lavorato per tanto tempo in nero, non pagando, quindi, nemmeno le tasse, e questo risulta poco accettabile. A ogni modo, per tornare al punto iniziale, oggi non sembra facile separare assistenza e previdenza. O almeno questa era stata la conclusione di una commissione tecnica che negli anni recenti era stata incaricata proprio di studiare la fattibilità di tale operazione.



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