LA RIFORMA PENSIONI DI QUOTA 96,7: DI COSA SI TRATTA
Una riforma pensioni vera e propria per il prossimo anno è ancora in cantiere ma nel frattempo alcune opzioni per richiedere l’uscita anticipata dal mondo del lavoro persistono e sono previste anche dall’ultima Manovra: in particolare modo, si è tornati a parlare di Quota 96,7 in questi giorni dopo il messaggio INPS del 23 febbraio scorso che ha stabilito la scadenza ultima per presentare le richieste di riconoscimento dei lavori usuranti e notturni.
Quota 96,7 significa banalmente 61 anni e 7 mesi di età con 35 anni di contributi: con questi requisiti la mini-riforma pensionistica per lavoratori con mansioni usuranti e notturne la scadenza per la presentazione delle richieste è fissato sul 1 maggio 2024, solo per coloro che soddisfano i requisiti per la pensione agevolata nel corso del 2025. In forma ancora più chiara, l’accesso a questo tipo di pensione è rivolta a chi svolge lavori fisicamente gravosi e con requisiti accumulati dal 1 gennaio al 31 dicembre dell’anno successivo. Per i lavoratori autonomi la quota “sale” a 98,6 (62 anni e 7 mesi di età più 35 anni di contributi), con la domanda generale che deve essere presentata sull’area personale del sito INPS, accompagnata dal modulo “AP45” e dall’intera documentazione che prova i requisiti fissati. (agg. di Niccolò Magnani)
LE DICHIARAZIONI DI LANDINI
Si avvicina l’approvazione del Def da parte del Governo e se le prime indiscrezioni parlano dell’assenza di misure di riforma delle pensioni per il 2025, non sembrano essere incoraggianti le dichiarazioni di Maurizio Landini. Intervistato da Repubblica, infatti, il Segretario generale della Cgil non ha accennato al tema, spiegando che “questo è il momento di sostenere lo sviluppo, prendendo i soldi dove ci sono: extraprofitti e rendite. Se invece il Governo, come faceva capire la Premier a gennaio, toccherà ancora la spesa sociale, siamo pronti a inasprire la mobilitazione. Lavoratori e pensionati non ne possono più di essere il bancomat del Governo”. Nelle altre dichiarazioni di esponenti della Cgil, peraltro, più che sul tema della flessibilità in uscita ci si è concentrati sulla richiesta di introdurre una pensione di garanzia per i giovani. Resta comunque valida la richiesta sindacale, quindi non solo della Cgil, della ripresa del confronto con il Governo sulle pensioni.
LA GUIDA UILP
In una breve guida dedicata alla possibilità di lavorare una volta in pensione, la Uilp ricorda, tuttavia, che “la pensione anticipata precoci è totalmente incumulabile con i redditi da lavoro subordinato e autonomo prodotti in Italia e all’estero, dalla data di decorrenza e per tutto il periodo di anticipo rispetto ai requisiti vigenti per la generalità dei lavoratori. Non ci sono eccezioni. I pensionati beneficiari di pensione anticipata precoci devono comunicare all’Inps eventuali redditi da lavoro”. Occorre, inoltre, stare attenti perché “nel caso in cui un pensionato percepisca nel periodo di anticipo redditi da lavoro subordinato o autonomo, il trattamento pensionistico è sospeso dalla data di decorrenza della pensione anticipata precoci fino alla conclusione del periodo di anticipo”. È questa la forma di anticipo pensionistico che risulta più rigida nel divieto di cumulabilità, visto che per Ape sociale e varie Quote è ammessa la possibilità di cumulo con i redditi derivanti da lavoro autonomo occasionale nel limite di 5.000 euro lordi annui.
I DATI INPS
In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore a commento degli ultimi dati provenienti dal monitoraggio Inps sui flussi di pensionamento viene evidenziato che “nonostante la lenta salita dell’asticella anagrafica previdenziale per effetto del ciclo di riforme degli anni ’90 e Duemila (che si è di fatto concluso con la legge ‘Fornero’ peraltro interessata da diverse deroghe a colpi di Quote), resiste il folto gruppo delle cosiddette pensioni giovani, o quasi”. Non si tratta certo delle famose baby pensioni, ma in ogni caso “al netto dei dipendenti pubblici, è destinato a soggetti con un’età inferiore ai 64 anni il 17,5% dei 17,7 milioni di trattamenti complessivamente erogati dalle gestioni dei lavoratori privati e autonomi dell’ente (per un costo di 248,7 miliardi) a tutto il 1° gennaio 2024. Si tratta di 3,1 milioni di assegni, con una quota significativa di ‘invalidità’, che lievitano a oltre 5,4 milioni considerando anche la fascia di beneficiari tra 65 e 69 anni”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BOSCO
Analizzando i dati Inps elaborato dal suo sindacato relativi al divario di genere pensionistico, Ivano Bosco, Segretario genovese e ligure dello Spi-Cgil, evidenzia che si tratta di un gap “davvero inaccettabile, ma noi pensionati guardiamo anche ad altre situazioni fortemente critiche, come quelle dei giovani la cui precarietà crescente va tamponata con una pensione di garanzia”. Il sindacalista, intervistato dall’edizione genovese di Repubblica, ricorda che “il gap di genere purtroppo rispecchia una cornice lavorativa che troppo spesso parte con una ingiustificata e inaccettabile differenza fra uomo e donna a cui si aggiungono scelte che diventano obbligate, come il part-time, quando non è la rinuncia”. Spesso per dedicarsi alla cura di figli o genitori anziani.
LA PRIORITÀ ALLA PENSIONE DI GARANZIA PER I GIOVANI
Bosco sottolinea che “i numeri ci dicono che arrivare alla pensione, cioè a maturare i requisiti pensionistici, è sempre più difficile. Questo perché appunto il percorso lavorativo è segnato da una precarietà crescente. Per questo è sempre più necessaria una riforma pensionistica che tenga anche conto delle diversità fra lavori a cui dovrebbero corrispondere anche tempi differenti delle uscite”. Dal suo punto di vista occorre “una nuova piattaforma unitaria per le pensioni”, che metta al primo posto “una pensione di garanzia per i giovani, oggi costretti a lavori precari che quindi avranno una pensione precaria, secondo quanto versato”. Quanto al gender gap previdenziale, il lavoro di cura andrebbe “riconosciuto anche ai fini pensionistici”.
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