LE PAROLE DI ELSA FORNERO
Come riporta Ansa, Elsa Fornero ha ricordato che “la nostra storia è fatta di riforme previdenziali fatte con l’acqua alla gola”, già a partire dagli anni Novanta. L’ex ministra del Lavoro ha aggiunto che dopo quel periodo “ci sono stati passi in avanti e passi indietro”, prima della “crisi del 2011 che era palpabile”, una esperienza in cui “non si sapeva se l’indomani ci sarebbero stati i fondi per la spesa corrente, per la scuola, per la sanità e, naturalmente, per le pensioni”. “Abbiamo sì allungato l’età di pensionamento, perché la situazione non era sostenibile”, ha spiegato. Euronews, intanto, evidenzia che a due anni dall’entrata in vigore della legge che li ha istituiti, i Pepp, i prodotti pensionistici paneuropei, non decollano. I numeri, infatti, sono stati inferiori alle aspettative e c’è un solo fornitore, Finax, che rende disponibile il suo Pepp solamente in quattro Paesi membri dell’Ue.
LE PAROLE DI CARFAGNA
In un video pubblicato sui social, Mara Carfagna, Presidente di Azione, come riporta Adnkronos, ricorda che “in Italia lavora soltanto una donna su due. Una su cinque lascia il lavoro dopo la nascita del primo figlio per la difficoltà a conciliare vita lavorativa e vita familiare. Le donne che ricoprono posizioni dirigenziali sono ancora una minoranza. Le donne continuano a guadagnare meno e ad avere pensioni più basse rispetto agli uomini”. Intanto Maria Rosa Alaggio, su Insurance Review, spiega che guardando ai dati Inps “ci si rende conto di quanta strada sia ancora necessario percorrere per valorizzare il contributo delle donne nel settore privato e in quello pubblico, per operare sulla base di una reale equità salariale, con le stesse opportunità di carriera, e aspirare così anche a un trattamento pensionistico che non rappresenti un’ultima, definitiva, discriminazione. Ciò che illustrano i dati dell’Inps è un quadro in cui le donne risultano ancora decisamente penalizzate nell’ambiente lavorativo, nella remunerazione, nella gestione della vita privata e, quindi, anche quando vanno in pensione”.
LA DELIBERA DEL CONSIGLIO PROVINCIALE ALTOTESINO
Come riporta il Tg regionale Rai di Bolzano, “il Consiglio provinciale altoatesino ha approvato alcune misure di contrasto alla povertà per gli anziani in Alto Adige proposte da una mozione presentata a novembre dai consiglieri Andreas Leiter Reber (Freie Fraktion) e Ulli Mair (Freiheitlichen). Leiter Reber, in particolare, ha chiesto di emendare la mozione per coinvolgere la Giunta provinciale sul ‘contributo per le spese accessorie per anziani’. Obiettivo: fare in modo che entro i prossimi 12 mesi le pensioni statali minime o basse degli altoatesini di età superiore ai 65 anni siano integrate coi fondi del bilancio provinciale per raggiungere il minimo di 1.000 euro netti al mese. I criteri per beneficiare di questa integrazione saranno adeguati per renderla accessibile alle coppie e cumulabile col ‘contributo al canone di locazione e per le spese accessorie’”. Dunque, in Alto Adige i pensionati con più di 65 anni potrebbero arrivare a percepire almeno 1.000 euro netti al mese.
LE PAROLE DI SILEONI
Il Segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni ricorda che in tutta Italia “si riscontra una ampia disparità tra uomini e donne nell’accesso al credito bancario. È un problema che nasce in banca, ma non è responsabilità delle banche se, purtroppo, esistono queste differenze, che nascono da lontano, da ragioni sociali e anche culturali. Le medesime disparità si riscontrano, tra altro, per quanto riguarda gli stipendi e le pensioni, più basse per le donne, fattori che poi condizionano l’accesso al credito”. Dal suo punto di vista, quindi, “è necessario studiare tutte le misure possibili per ridurre questi divari. La parità di genere non deve restare solo uno slogan, ma deve partire concretamente dall’inclusione finanziaria. Le banche, dal loro punto di vista, potrebbero fare la loro parte aumentando i prestiti dedicati a tasso agevolato”. Intanto Italia Oggi ricorda che il riscatto contributivo fino a 5 anni pagato tramite i premi di produzione dal datore di lavoro può essere portato in deduzione dal reddito di quest’ultimo.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI VAITI (CGIL CALABRIA)
Secondo Caterina Vaiti, Segretaria Confederale Cgil Calabria e responsabile del Coordinamento Donne Cgil Calabria, come riporta corrieredilamezia.it, “bisogna rimettere mano al sistema pensionistico e riconoscere anche il gap di genere provocato da carriere discontinue e bassi salari, garantendo il riconoscimento del lavoro di cura prestato in ambito familiare, che, purtroppo, anche a causa degli scarsi investimenti in welfare, è ancora quasi esclusivamente a carico delle donne”. Restando in casa Cgil, ma spostandoci a Genova, in occasione dell’8 marzo viene ricordato che “le disparità salariali, le difficoltà ad accedere a molte professioni, il lavoro familiare di cura, sono solo alcuni degli ostacoli che impediscono alle donne la piena realizzazione personale”.
LA POSIZIONE DELLA CGIL DI GENOVA
La Cgil di Genova, come riporta genovaquotidiana.com, ricorda che un altro elemento “che segna la discriminazione tra i generi è rappresentato dall’intensità di lavoro, dato che misura la prestazione lavorativa in giornate medie lavorate annue: le donne lavorano mediamente (dato 2022) 14 giorni in meno degli uomini, differenza in aumento rispetto al 2019 quando lo scarto era di 9 giornate. La condizione negativa di essere occupate poco e in condizioni precarie si scarica sulle retribuzioni dove la differenza media annua tra lo stipendio di un maschio rispetto ad una femmina è del 35 per cento, elemento che a cascata si ritrova anche nel reddito pensionistico medio con un divario del 30 per cento medio in meno sempre a scapito delle donne”.
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