IL GENDER GAP PREVIDENZIALE

In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore viene ricordato che “la differenza di genere nelle pensioni è la più triste delle differenze retributive tra uomini e donne perché quando si manifesta è troppo tardi per rimediare”. Nell’articolo vengono citati “i dati Inps sui flussi di pensionamento” che “confermano anche per le nuove pensioni una differenza di più di 400 euro al mese, pari al 30,4% (1.366 per gli uomini, 950 per le donne)”. Questo significa che “il gender gap nelle nuove pensioni resta dunque invariato rispetto a quello complessivo, che i dati Eurostat indicano attualmente pari al 30,1% per il nostro Paese contro il 26% della media europea”. Il divario di genere nella previdenza non sembra in ogni caso poter essere risolto nell’arco di pochi anni, considerando anche il fatto che la differenza di importo negli assegni pensionistici è determinata dai contributi versati durante l’attività lavorativa.



LE NOVITÀ SUL CEDOLINO PENSIONI DI MARZO: LE INFO DALLA CISL

Il sindacato FNP-Cisl Pensionati ha diffuso come ogni mese il bollettino per informare tutte le novità circa l’assegno pensioni del mese corrente: e così si scopre per il mese 2024, al netto delle ormai note innovazioni sul sistema di scaglioni e aliquote IRPEF, alcuni dettagli circa l’incremento degli assegni di importo pari o inferiore al trattamento minimo INPS. In attesa di una strutturale riforma pensioni che possa stravolgere l’attuale regolamento della Legge Fornero, ecco quanto riporta la Cisl nelle novità del marzo 2024.



«L’INPS continua a corrispondere d’ufficio l’incremento transitorio a favore dei titolari di uno o più trattamenti pensionistici di importo lordo complessivo pari o inferiore al trattamento minimo INPS», si legge nell’informativa del sindacato. Soprattutto, nel 2024, viene ricordato come l’incremento viene riconosciuto nella percentuale del 2,7% «a favore di tutti i soggetti di età pari o superiore a 75 anni ed è fiscalmente imponibile essendo assoggettato alla tassazione ordinaria. Spetta da gennaio 2024 a dicembre 2024, compresa la tredicesima mensilità». (agg. di Niccolò Magnani)



LE PAROLE DI CAVALLARO

Francesco Cavallaro spiega che la Cisal, di cui è Segretario generale, “continua a perseguire un disegno di riforma previdenziale più ampio che, con misure strutturali, consenta di guardare al futuro pensionistico con una tranquillità che oggi obiettivamente è preclusa, soprattutto a giovani e donne”. Il sindacalista, come riporta l’agenzia Dire, evidenzia che “noi chiediamo una revisione delle regole generali delle leggi Dini/Fornero nonché ai criteri di calcolo degli assegni pensionistici ed, in modo particolare, al sistema delle soglie minime. Il quadro normativo attuale si mostra inadeguato e ingiustamente punitivo: la tenuta del sistema implica un blocco del ricambio generazionale. Secondo le ultime proiezioni, infatti, in Italia chi comincia a lavorare oggi andrà in pensione oltre i 70 anni. Contratti a termine e discontinuità lavorativa, associata a retribuzioni basse e mancanza di garanzie sociali, non aiutano. E con salari bassi e discontinui le pensioni future, se non si interviene, saranno letteralmente da fame”.

LA PENSIONE DI REVERSIBILE PER IL CONIUGE DIVORZIATO

In un articolo pubblicato su Sanità 24, sezione del sito del Sole 24 Ore, viene ricordato che “il coniuge rientra tra i soggetti che hanno diritto alla pensione di reversibilità, non solo se al momento del decesso è ancora coniugato e convivente. Ma anche se, è separato o divorziato dal pensionato defunto. In questi casi però, la legge richiede la sussistenza di determinati requisiti, anche al fine di non ledere la posizione dell’eventuale nuovo coniuge, con cui lo stesso ha contratto le nozze dopo il divorzio. La pensione di reversibilità spetta quindi anche all’ex coniuge. Per ciò che riguarda infatti la possibilità di vedersi attribuita la pensione di reversibilità, l’ex coniuge ha gli stessi diritti del coniuge non divorziato”. L’erogazione della pensione di reversibilità per il coniuge divorziato è però subordinata al ricorrere di alcuni presupposti fondamentali che “sono: non passaggio a nuove nozze; titolarità dell’assegno divorzile; anteriorità del rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico alla sentenza di divorzio”.

RIFORMA PENSIONI, L’EFFETTO INFLAZIONE PER I GIOVANI

In un articolo pubblicato su Italia Oggi Sette, Daniele Cirioli evidenzia che “per i giovani è irraggiungibile il traguardo di una pensione anticipata, cioè prima dei 71 anni d’età. Su ciò influisce non solo la speranza di vita, che periodicamente fa salire l’età del riposo, ma anche il perverso meccanismo tra inflazione, salari e soglia minima di accesso alla pensione. Infatti, mentre la soglia (calcolata sull’assegno sociale, come visto) sale ogni anno al tasso d’inflazione, lo stesso non accade per i salari, che sono la base su cui si calcolano i contributi che determinano l’importo di pensione (che deve rispettare la soglia). Succede, allora, che la soglia cresce richiedendo un maggior importo di contributi per essere rispettata; ma i salari restano stabili o crescono poco e non riescono a garantire quel maggior gettito di contributi”.

IL RISCHIO DI ATTENDERE I 71 ANNI

Ovviamente, “più aumenta il divario tra soglia e salari (ciò che avviene quando il tasso d’inflazione è superiore al tasso di crescita dei salari), più la pensione si allontana, perché, non potendo diversamente aumentare i contributi, si è costretti a restare più tempo a lavoro al fine di versare quei contributi in più, necessari a raggiungere la soglia minima”. Dunque, “se c’è stata una buona carriera, oggi non si presenteranno problemi a pensionarsi, perché la soglia di pensione maturata sarà soddisfatta. Altrimenti, bisognerà rassegnarsi a lavorare altri quattro anni, fino a 71 anni (sei in più di quanto si sapeva a inizio lavoro), traguardo di pensionamento per il quale non esiste più una soglia minima”.

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