LA POSIZIONE DELL’ANIEF

Come riporta orizzontescuola.it, “il sindacato Anief dice sì a quota 41 ma senza penalizzazioni e con il riscatto gratuito degli anni di formazione universitaria. Inoltre, per il personale docente il limite della pensione di vecchiaia dovrebbe scendere a 63 anni con la possibilità per chi intende rimanere di svolgere incarichi diversi dalla didattica”. Restando in tema di riforma delle pensioni, vipiu.it evidenzia che da un’indagine effettuata dal Centro Studi Cisl Vicenza il divario di genere nel mercato de lavoro “rimane notevole, sia dal punto di qualitativo sia da quello quantitativo” e tali diseguaglianze “creano le premesse anche per discriminazioni economiche future, dato che la busta paga che di anno in anno si è ricevuta nel corso della propria vita lavorativa, ovviamente si riverbera anche sulle pensioni, con una differenza di quasi 8.800 euro di l’importo medio tra uomini e donne: 21.970 euro contro 13.187 euro”.



CISL AVVIA CAUSE PER LA MODIFICA DELL’ART.33 MANOVRA SULLE PENSIONI MEDICI

La Cisl ha annunciato di aver fatto scattare le prime cause pilota per la modifica dell’articolo 33 della Legge di Bilancio 2024, quello dove venivano applicati i vari tagli sulle pensioni dei medici e altri dipendenti pubblici: dopo il passo indietro del Governo negli emendamenti della Manovra anche sulla riforma pensioni, restano alcune tematiche ancora da migliorare secondo il sindacato “bianco”. «Grazie all’interlocuzione portata avanti dalla Cisl, il Governo ha mitigato i contenuti dell’art. 33 della Legge di Bilancio, il quale prevedeva un taglio dei rendimenti previdenziali dei lavoratori iscritti alla Cpdel, Cps, Cpug e Cpi», spiega in una nota il segretario generale della Cisl Fp, Maurizio Petriccioli.



Tuttavia l’emendamento presentato dopo l’azione della Cisl ha migliorato solo in parte la norma, salvaguardando gli iscritti alla Cps e gli infermieri della Cpdel, ma determinando una discriminazione «che poteva essere sanata»: per questo motivo in queste settimane sono scattate le richieste a Governo e Parlamento di «intervenire immediatamente, con apposito veicolo legislativo, evidenziando i chiarissimi profili di illegittimità su cui siamo costretti a chiedere l’intervento della Corte Costituzionale». Il sindacato diretto da Luigi Sbarra ha deciso così di avviare cause polita in vari fori d’Italia «per salvaguardare i trattamenti pensionistici futuri di tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori pubblici su cui, regolarmente, ogni governo pensa di poter fare cassa». (agg. di Niccolò Magnani)



LE PAROLE DI DAMIANO

In un articolo pubblicato su Left, Cesare Damiano ricorda che il Governo ha “pianificato una pesante decurtazione delle pensioni in essere”, tramite il blocco parziale delle indicizzazioni. “Fino a quattro volte il minimo non cambia nulla. Il recupero successivo è stato decurtato fino a raggiungere percentuali del 53, 47, 32 e 22” evidenzia l’ex ministro del Lavoro, aggiungendo che “questo taglio delle indicizzazioni, avviato con la legge di Bilancio dello scorso anno, produrrà un risparmio, nei dieci anni tra il 2023 e il 2032, di 36 miliardi di euro. Fortunatamente è rientrato, almeno in parte, il progetto di tagliare le pensioni di alcune categorie come medici, infermieri, insegnanti, dipendenti degli Enti Locali e degli uffici giudiziari. A questi, si pensava, senza alcuna logica di sistema, di tagliare i contributi maturati prima del 1996, data spartiacque dalla quale si passa al calcolo contributivo delle pensioni al posto di quello retributivo”.

L’AUSPICIO DOPO LO STOP AL CONTRATTO DI ESPANSIONE

In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore viene ricordato che “quest’anno le società dovranno procedere alle riorganizzazioni della forza lavoro senza poter contare sul contratto di espansione che, introdotto nel 2019 e poi prorogato, non è più disponibile. Uno strumento che in diversi contesti si è rivelato efficace e meno costoso rispetto agli altri rimasti in vigore. Tra le varie prestazioni, il contratto di espansione consentiva alle società con almeno 50 dipendenti di accompagnare i lavoratori alla cessazione anticipata dal servizio rispetto al pensionamento normale in maniera socialmente responsabile”. Per Claudio Pinna e Ciriaco Serluca, autori dell’articolo, “l’augurio è che strumenti del genere siano di nuovo considerati nella prossima revisione del nostro sistema pensionistico e solo attraverso un impegno comune tra lavoratori, aziende e Stato si potrà trovare la giusta quadra, senza far venire meno il principio dell’equità e mettere a rischio i conti pubblici”.

RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI GIULIANI

In un articolo pubblicato su lavoce.info, Paolo Giuliani spiega che le scelte principali in tema di riforma delle pensioni fatte dal Governo con la Legge di bilancio rispondono alla necessità di contenere la spesa per le pensioni, “che nel periodo 2035-2024 toccherà il 17,2 per cento sul Pil”. Un livello che “non è certo attribuibile a questo governo, risale a scelte politiche errate e a cambi di rotta rispetto a linee di indirizzo che avrebbero potuto deviare la traiettoria assunta, certamente anche all’eccessiva timidezza nell’introduzione del metodo di calcolo contributivo. Si può, però, segnalare il contrasto tra il messaggio politico e la realtà delle misure adottate con la manovra, che ha dovuto tenere conto del livello della spesa pubblica, limitandosi a operare sull’esistente a volte in modo restrittivo”.

LA DECISIONE DI PREVINDAI

Il giurista esperto di previdenza evidenzia che “se la riduzione della spesa per pensioni nella sua incidenza sul Pil appare uno sforzo politicamente non sostenibile, l’alternativa è nel miglioramento del denominatore del rapporto finanziario e quindi del Pil. Arrivarci presuppone però la necessità di affrontare una serie di questioni, tra cui il basso livello dei salari e della produttività del lavoro e l’avvio di una seria politica contro l’evasione fiscale”. Intanto, come riporta MF, a partire da gennaio i costi di partecipazione al fondo pensione dei dirigenti industriali Previndai sono stati ridotti dallo 0,55% dei contributi versati allo 0,45%. In calo anche il contributo richiesto ai dirigenti non più in forza, che è passato da 45 a 40 euro.

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