IL PRESIDIO DELLA CUB
La Cub annuncia un presidio in piazza della Scala a Milano in occasione della Prima, per ricordare a “politici e potenti”, “di occuparsi di comprendere quali siano i problemi del ‘popolo’ che non è un’entità astratta ma è costituito in gran parte dalla massa di lavoratori dipendenti, la maggior parte dei quali gode di una retribuzione medio-bassa”. Tra le altre cose, “nella Finanziaria, l’attuale Governo ha deciso anche il taglio delle future pensioni dei dipendenti pubblici attraverso la modifica dei coefficienti di calcolo. Taglio che da stime riguarderà oltre 700 mila lavoratori, per circa 3,5 miliardi di euro entro il 2043. Facendo i calcoli, per una pensione di vecchiaia con 35 anni di contribuzione nel 2024 e 67 anni di età, ed una retribuzione di 30.000 euro annui lordi, si può raggiungere un taglio di 4.432 euro all’anno, che se proiettato fino all’attesa di vita media raggiunge un mancato guadagno pari a 70.912 euro”.
MEDICI E INFERMIERI “RISPONDONO” AL GOVERNO: “STOP AL TAGLIO DELLE PENSIONI”
Nonostante le parole del Ministro della Salute Schillaci e la conferma del MEF sulle modifiche in merito alla riforma pensioni inserita nella Manovra di Bilancio 2024, medici e infermieri non si fermano e annunciano possibili nuove proteste dopo lo sciopero “selvaggio” del 5 dicembre. «La risposta, calorosa come non mai, “da parte della piazza” era quella che ci attendevamo, i numeri delle adesioni allo sciopero, dall’altra parte, confermano che i colleghi professionisti dell’assistenza hanno oggi una sola voce, quella che urla forte, come non mai, alle istituzioni e alla politica, che è arrivato il momento del cambiamento», così in una nota Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Per il sindacato degli infermieri tra i protagonisti dello sciopero di martedì, non è possibile continuare a perdere pezzi per strada: «meno laureati, meno iscritti alle facoltà infermieristiche, sempre più giovani che fuggono all’estero, dimissioni volontarie dalla sanità pubblica e un esercito di professionisti destinati ad andare in pensione, insoddisfatti perché il Governo vuole tagliargli anche quel poco che hanno già maturato, e senza essere nemmeno rimpiazzati». (agg. di Niccolò Magnani)
LE PAROLE DI SCHILLACI
Orazio Schillaci spiega che per quel che riguarda l’articolo 33 della Legge di bilancio che interviene sulle pensioni di alcuni dipendenti pubblici, tra cui i medici, “ci siamo impegnati a correggere. Nel maxiemendamento che sta per essere presentato in Senato la norma viene grandemente mitigata”. Infatti, “abbiamo concordato col ministro Giorgetti che siano salvaguardati medici e infermieri dipendenti che vanno in pensione col trattamento di vecchiaia e quelli che hanno maturato requisiti per l’assegno di anzianità entro l’entrata in vigore della legge di Bilancio 2024”. Per chi maturerà i requisiti più avanti “la norma verrà applicata in forma ridotta e gradualmente”. Il ministro della Salute, intervistato dal Corriere della Sera, evidenzia anche che lo stralcio della norma, chiesto sia dall’opposizione che dai sindacati, “non si può avere, per motivi tecnici”. E aggiunge che in base a ciò che i medici rivendicano, “comprendo che siamo sulla strada giusta. Chiedono più fondi e li abbiamo aumentati, stipendi più alti e i rinnovi contrattuali prevedono consistenti aumenti in busta paga”.
LA PROTESTA DEI MEDICI
Si continua a parlare, dopo lo sciopero di ieri, dell’articolo 33 della Legge di bilancio e dei suoi effetti sulla sanità. Guido Quici, Presidente CimoCoordinamento Italiano Medici Ospedalieri, come riporta Askanews, evidenzia che “per le pensioni molti medici andranno in pensione con il rischio di una decurtazione pari da 200 a mille euro al mese per tutta la vita, hanno fatto dei progetti durante l’attività lavorativa anche riscattando decine di migliaia di euro. Ora sono messi male e quindi fuggiranno il più presto possibile”. Il Presidente dell’Ordine dei Medici di Napoli Bruno Zuccarelli che è anche segretario regionale dell’Anaao, come riporta l’edizione locale di Repubblica, spiega che lo sciopero è servito “a chiedere rispetto per quelle categorie che tengono in piedi il Servizio sanitario pubblico. Siamo indignati dal tradimento nell’attacco alle nostre pensioni, è insopportabile andare a lavoro consapevoli di rischiare ogni giorno un’aggressione. E noi non ce ne staremo zitti e buoni mentre la politica cancella il diritto alla salute”.
RIFORMA PENSIONI, L’ANALISI DI CARRIERI
Vincenzo Carrieri, Professore di di Scienza delle Finanze all’Università della Calabria, spiega che “il fatto che nella nostra regione ci siano più persone inattive che attive è una spia preoccupante dello stato della nostra economia e della nostra società e riflette i bassi livelli di occupazione e di emigrazione, spesso qualificata, dei giovani verso il nord del Paese. Questo squilibrio genera poi una forte dipendenza dalle pensioni come fonte di reddito all’interno delle famiglie meridionali, in particolare in Calabria. In queste aree, le famiglie svolgono un ruolo chiave come ammortizzatori sociali”. Dal suo punto di vista, inoltre, il fatto che le pensioni in Calabria siano basse è dovuto al minor numero di contributi versati a causa dei “redditi annuali, salari settimanali e settimane lavorate più bassi nel settore privato”.
LE DISPARITÀ PRESENTI AL SUD
Il che, come spiega a corrieredellacalabria.it, segnala anche un’elevata disuguaglianza nei redditi tra il settore pubblico e privato, soprattutto nel Mezzogiorno”. Infatti, “il premio retributivo per lavorare nel settore pubblico rispetto a quello privato si attesta in media all’8% in Italia. Tuttavia, tale premio si riduce al solo 3% nel Nord, ma è di circa il 23% nel Mezzogiorno”. Non va poi dimenticato che al Sud vi è una quota maggiore di pensioni assistenziali che sono di importo basso. Carrieri ricorda anche che “le donne fanno più frequentemente ricorso alle pensioni anticipate, utilizzando il regime ‘opzione donna’ introdotto nel 2004, che prevede un assegno pensionistico inferiore di quasi il 40% rispetto alla media”.
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