Nel Def “Light” che ha approvato martedì 9 aprile il Consiglio dei Ministri, come previsto, non vi è alcun cenno sulla previdenza e sulla riforma delle pensioni che i cittadini italiani aspettano da oltre un decennio. Parliamo di Def “Light” perché, com’era trapelato negli ultimi giorni, l’Esecutivo ha presentato un documento dove non sono indicati i numeri programmatici con le nuove leggi e le riforme previste dall’agenda di Governo, ma sono indicati solamente quelli tendenziali che registrano in pratica solamente la situazione esistente. Le motivazioni date da palazzo Chigi su questo singolare approccio a questo documento, che ricordiamolo rappresenta il principale strumento della programmazione economico/finanziaria in Italia e quello che indica (o dovrebbe indicare) le strategie economiche e di finanza pubblica per i tre anni successivi, sono per la natura di transizione delle nuove regole europee che entreranno in vigore il 1° gennaio 2025, cosa che non permette un’analisi dettagliata e, infatti, proprio per questo motivo anche altri Paesi europei presenteranno un Def così semplificato.



Questo sistema attuato, in rarissimi casi, in prossimità di elezioni politiche per permettere ai nuovi Governi di decidere autonomamente le traiettorie programmatiche è stato giustificato dal fatto che il patto fiscale di medio termine sulle nuove regole inserite nel Patto di stabilità, pur se già decise, devono ancora essere definitivamente approvate dall’Ue e mancano di conseguenza le indicazioni operative. I maligni affermano, invece, che in un quadro economico molto difficile a meno di due mesi dalle elezioni europee non si vuole mettere nero su bianco decisioni che potrebbero essere politicamente impopolari. Tant’è, questa è la situazione e gli unici dati comunicati sono che il deficit quest’anno sarà del 4,3% del Pil come anche indicato nella Nadef lo scorso settembre, il Pil per quest’anno è indicato all’1%, peggiorativo dello 0,2%, e il rapporto debito/Pil sarà del 137,8% anch’esso peggiorato rispetto al 137,3% dell’anno 2023.



Le buone notizie sono che non è prevista una manovra aggiuntiva per sistemare i conti economici e che il Governo farà di tutto per trovare anche nell’anno 2025 i fondi per confermare il taglio del cuneo fiscale che ha consentito a molti italiani di ottenere un piccolo incremento mensile del proprio reddito.

Giorgetti nel corso della conferenza stampa ha ricordato che il termine per la presentazione del Piano fiscale strutturale alla Commissione europea è il 20 settembre, ma la volontà dell’Esecutivo è quella di presentarlo anche prima e ha nuovamente addebitato al Superbonus l’aumento del debito pubblico i cui effetti saranno ancora pesanti nel 2025, ma cominceranno a diminuire dal 2026.



In questo quadro molto poco edificante dal punto di vista economico, quello che si può affermare con assoluta certezza è che quest’anno non vi sarà alcuna riforma strutturale delle pensioni e che ogni eventuale intervento significativo sarà spostato al prossimo per avere poi decorrenza dal 1° gennaio 2026. In pratica, quest’anno, al pari e forse anche peggio di quanto successo negli ultimi anni, si accennerà al nodo pensioni solamente nella Nadef, dal momento che nulla è contenuto in questo Def, e come al solito assisteremo a pochi interventi inseriti in Legge di bilancio che probabilmente confermeranno gli istituti di Quota 103 (se non si passerà a Quota 104), Opzione Donna e Ape sociale che vanno in scadenza al 31/12/2024.

Dopo diciotto mesi dal suo insediamento questo Governo, che aveva molto insistito prima delle elezioni su una modifica strutturale della riforma pensioni della Fornero, che prima tutti criticavano aspramente e adesso è incredibilmente diventata l’argine ai conti dissestati dello Stato, al di là di sterili affermazioni e di inutili provvedimenti (l’Osservatorio sui flussi dei costi previdenziali fortemente voluto dalla Ministra Calderone e di cui è persa traccia) ha stoppato qualsiasi ipotesi di riforma pensioni peggiorando gli istituti già esistenti di pensione anticipata, e rinviando a tempi migliori ciò che i cittadini italiani aspettano da oltre un decennio. Spostare la riforma delle pensioni a fine legislatura preferendo piuttosto quella presidenziale, della giustizia e fiscale si rivelerà un grosso errore di cui pagheranno le conseguenze le giovani generazioni che saranno costrette a restare sul posto di lavoro ben oltre i settant’anni e che poi dopo oltre quarant’anni di versamenti contributivi si ritroveranno un assegno previdenziale che raggiungerà a malapena la metà del loro stipendio.

Si deve capire che i lavori non sono tutti uguali e che vanno differenziate le uscite in base al tipo di mestiere svolto mediante una flessibilità opzionale che a partire dai 62 anni si estenda fino a 70 anni. Da istituire, poi, una pensione di garanzia per chi ha carriere frammentate e discontinue e implementare fortemente la previdenza complementare con maggiori detrazioni fiscali e minori imposte. È necessario, inoltre, intervenire sulle retribuzioni, ferme in Italia da quasi un ventennio, per evitare che le relative pensioni generate siano al limite della sopravvivenza.

Vediamo cosa succederà nei prossimi mesi e se nella presentazione del Piano fiscale strutturale che il Governo ha affermato di voler approvare anche prima del prossimo settembre ci sarà almeno qualche segnale positivo in ambito previdenziale, così, come affermato anche dalla Premier Meloni un anno fa, da garantire la tenuta del sistema ed evitare il manifestarsi di una bomba sociale nei prossimi decenni.

 

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