LE PAROLE DI ROCCHETTI

Come spiega morningstar.it, “per chi volesse mantenere lo stesso stile di vita una volta chiusa la carriera lavorativa, sembra impensabile poter contare solo sulla previdenza obbligatoria. Perciò, è fondamentale un cambio di mentalità, soprattutto tra i più giovani”. Infatti, “secondo l’Osservatorio di Moneyfarm, a oggi solo 26 italiani su 100 stanno attivamente mettendo da parte dei risparmi in strumenti di previdenza complementare. Andrea Rocchetti, Global Head of Investment Advisory di Moneyfarm, evidenzia che “i dati che emergono mostrano quanto sia necessario e urgente occuparsi da subito del proprio futuro, integrando la pensione pubblica con una qualche forma di previdenza complementare”. “L’industria del risparmio gestito è chiamata ad attivarsi per stimolare la consapevolezza dell’inadeguatezza della sola previdenza pubblica e ad accompagnare lavoratori e non nella scelta della forma di pensione integrativa più adatta alle loro esigenze”, ha aggiunto Rocchetti.



PENSIONI E GIOVANI, L’AFFONDO DELLA CGIL SULLE POLITICHE INSUFFICIENTI DEL GOVERNO

Come denunciato nell’ultimo studio dell’Ufficio previdenza centrale, il sindacato Cgil contesta al Governo di non aver posto al sicuro il futuro dei giovani con una riforma pensioni ad hoc. «E’ incredibile come questo governo, nonostante slogan e promesse, sia riuscito a penalizzare tutte e tutti: anche i giovani, come le donne, sono poveri al lavoro e saranno sempre più poveri in pensione, e di fatto per loro sarà impossibile accedere a quella anticipata», attacca la segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione, sottolineando come gli under 35 di oggi «fanno più fatica ad entrare nel mercato del lavoro e, quando lo fanno, hanno contratti atipici o a tempo determinato con retribuzioni basse e anche sul fronte previdenziale pagheranno un prezzo più alto».



Secondo lo studio della Cgil, il traguardo della loro pensione si allontana sempre di più: secondo la segretaria confederale, esiste ad oggi una piena emergenza giovani nel nostro Paese. «Per noi è necessario rafforzare il patto intergenerazionale, altrimenti si rischia davvero di andare incontro ad una crisi profonda dell’attuale sistema». Da qui la richiesta di Cgil con Cisl e Uil di una riforma che porti la pensione contributiva di garanzia. (agg. di Niccolò Magnani)

LA PROPOSTA DEGLI ATTUARI

Durante l’audizione alla commissione bicamerale di controllo sugli enti pensionistici pubblici e privati, Tiziano Tafaro, Presidente del Consiglio nazionale degli attuari, ha detto, come riporta Ansa, che per “rendere più efficace la conversione in rendita del capitale proveniente dall’accumulo previdenziale pensiamo possa essere necessario superare alcuni concetti di garanzia demografica e finanziaria, e valutare la costruzione di rendite nelle quali ci sia una parziale condivisione di questi rischi con l’Ente erogatore, al fine di aumentare l’importo della rendita. Una soluzione potrebbe anche essere rappresentata dalla scissione della rendita in più intervalli temporali, ipotizzando, per esempio, una rendita temporanea per gli anni relativi alla speranza di vita alla data della scelta, anche con periodicità variabile, e una rendita differita vitalizia, il cui rischio assicurativo potrebbe essere parzialmente condiviso con l’iscritto”. Ipotesi su cui “siamo disponibili a lavorare anche tramite analisi specifiche e costruzione di esempi esplicativi”.



LE PAROLE DI MARÈ

Come riporta Askanews, Mauro Marè evidenzia che “i fondi pensione non investono molto sull’Italia, investono soprattutto all’estero. Investono in Italia intorno a 3-5%, la casse investono molto di più tra il 10 e il 30%. Il problema è che si deve fare di più: servono risorse per la crescita italiana, per le imprese, per la cosiddetta economia reale, e quindi gli investitori istituzionali, casse, fondi pensione e le fondazioni sono un veicoli fondamentale per la crescita dell’economia italiana, per offrire prestazioni di welfare non solo di pensione ma anche di sanità, fondi sanitari e coperture assicurative, di fronte a nuovi rischi come long term care o l’economia degli anziani”. Secondo il Direttore dell’Osservatorio sul Welfare della Luiss Business School, “serve una cultura collettiva anche accademica dell’investimento nell’economia reale che possa sviluppare questi investitori istituzionali e permettere di offrire prestazioni pensionistiche e sanitarie integrative rispetto al primo pilastro”.

RIFORMA PENSIONI, MENO SCIVOLI PER LE IMPRESE

In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore viene evidenziato che “se in alcuni casi trattenere al lavoro, o assumere, lavoratori anziani è una precisa scelta delle aziende, in altri può essere una condizione obbligata, in quanto non c’è la possibilità di accedere a un pensionamento anticipato o a uno scivolo previdenziale”. In particolare, Quota 103 era considerata un “canale di uscita potenzialmente utilizzabile dalle aziende, magari incentivando il dipendente con un’una tantum a copertura totale o parziale della differenza dell’assegno pensionistico rispetto al pensionamento di vecchiaia o a quello anticipato”. Tuttavia, “con le nuove regole entrate in vigore quest’anno, quota 103 è diventata meno appetibile”.

LO SVANTAGGIO DELLA NUOVA QUOTA 103

Questo “in quanto l’obbligo di calcolare l’importo della stessa con il metodo contributivo, invece che con quello misto, nella maggior parte determina una riduzione dell’assegno. Oltre a ciò, per effetto delle finestre, cioè il periodo che trascorre tra la maturazione del diritto e la decorrenza della pensione, il vantaggio in termini di tempo si è ridotto rispetto alla pensione anticipata ‘ordinaria’: nel settore privato con Quota 103 il primo assegno arriva dopo 41 anni di contributi più 7 mesi di attesa; con la pensione anticipata dopo 42 anni (41 anni le donne) e 10 mesi di contributi più una finestra di 3 mesi. Proseguendo l’attività lavorativa per un massimo di 18 mesi (uomini, non oltre 6 mesi se donne), si accede all’anticipata senza subire la riduzione di importo”.

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