Vediamo quali sono le principali novità in materia di pensioni nella Legge di bilancio approvata dalla Camera alla fine della scorsa settimana e che verrà votata al Senato nei prossimi giorni.

Riforma pensioni 2025, l’aumento delle minime

Nel 2025, le pensioni minime avranno un aumento del 2,2%, raggiungendo una cifra mensile di 617,9 euro, circa 3 euro in più rispetto all’attuale importo di 614,77 euro. Questo intervento punta quindi a garantire un parziale adeguamento all’inflazione e a evitare la perdita di potere d’acquisto dei pensionati con assegni minimi.



La norma ha sollevato molte critiche da parte delle opposizioni. Sarebbe stato sufficiente spiegare che quell’importo modesto corrisponde al dovuto rispetto al tasso di rivalutazione applicato nel 2025. E che non è la prima volta (si veda la tabella per gli anni 2000-2024) che gli incremento sono modesti. In aggiunta nell’incremento di 3 euro c’è un di più che non sarebbe dovuto.



In tabella sono riportate le percentuali di indicizzazione automatica previste nell’anno in corso. Per spiegare l’arcano, sull’importo della pensione minima fu apportato un incremento compensativo di una quota di inflazione da 598 a 614 euro circa, con l’indicazione che tale operazione sarebbe stata in vigore solo per quell’anno, in ragione dell’impennata dell’inflazione. In sede di bilancio per il 2025 il Governo si è accorto però che anche applicando la scala corretta all’importo non maggiorato dei 598 euro, essendo l’inflazione presa a riferimento pari all’1,6%, l’ammontare della pensione minima finiva nel 2025 per essere inferiore di quella erogata nell’anno in corso; così ha previsto che la rivalutazione sia pari al 2,2% apportando un incremento di soli 3 euro rispetto all’importo del 2024. Per ricapitolare: la rivalutazione sarà del 2,2% nel 2025 e dell’1,3% nel 2026. Nel 2024 l’asticella dell’indicizzazione all’inflazione di questi trattamenti era stata posizionata a quota 2,7%.



Rivalutazione pensioni in generale (perequazione)

Per quanto riguarda il sistema di adeguamento all’inflazione, il meccanismo di indicizzazione subirà delle modifiche.

Dal 2025, si tornerà al sistema previsto dalla legge 388/2000, con tre livelli (e non più sei) di adeguamento all’inflazione e quindi una perequazione “più generosa”:

– 100% per le pensioni fino a quattro volte il minimo, (indicizzazione piena);

– 90% per quelle tra quattro e cinque volte il minimo

– 75% per le pensioni superiori a cinque volte il minimo.

Non è però prevista alcuna rivalutazione per le pensioni dei residenti all’estero se superiori al minimo.

Riforma pensioni 2025, proroga di Quota 103 e altre forme di flessibilità in uscita

La manovra proroga la cosiddetta Quota 103, confermando, per chi raggiungerà i requisiti nel 2025, sia il ricalcolo contributivo dell’assegno, sia il limite massimo dell’importo pari a 4 volte il trattamento minimo, permettendo di ritirarsi anticipatamente dal mercato del lavoro, ai lavoratori con almeno: 62 anni di età e 41 anni di contributi raggiungibili anche attraverso il cumulo ovvero sommando tutti i versamenti accreditati presso le differenti gestioni previdenziali amministrate dall’Inps.

La decorrenza della pensione è posticipata, a causa delle finestre mobili di attesa, che, per chi maturerà i requisiti entro il 31 dicembre 2025, saranno pari, come per il 2024, a: 7 mesi per i lavoratori del settore privato; 9 mesi per i dipendenti della Pa.

Anche per il 2025 varrà il divieto di sommare la pensione Quota 103 con i redditi da lavoro, tranne nel caso di compensi derivanti da lavoro autonomo occasionale (art. 2222 Codice Civile) con un tetto di 5.000 euro lordi all’anno.

Si tenga conto che l’accesso al pensionamento mediante questa via d’uscita è particolarmente svantaggiosa tanto che nel 2024 ne hanno usufruito solo 1.700 lavoratori.

Inoltre, vengono confermate le misure dell’Ape sociale e dell’Opzione donna, che garantiscono ulteriori possibilità di uscita anticipata per particolari categorie di lavoratori, come quelli impegnati in attività usuranti o le donne con condizioni familiari specifiche.

Ape sociale: garantisce a specifiche categorie (disoccupati di lungo corso, addetti ai lavori gravosi, invalidi e caregiver) la possibilità di prepensionamento a 63 anni e 5 mesi con almeno 30 anni di contributi (36 per la generalità degli addetti ai lavori gravosi). L’Ape sociale è incompatibile con redditi da lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui (come Quota 103).

Opzione Donna: utilizzabile da caregiver, invalide e lavoratrici o licenziate o dipendenti di imprese in crisi. Occorre un minimo di 35 anni di contributi e 61 anni di età (ovvero 60 anni per le lavoratrici madri con 1 figlio oppure 59 anni per le lavoratrici madri con 2 o più figli).

Bonus Maroni: incentivi alla permanenza al lavoro

Il Bonus Maroni viene prorogato e, novità, detassato. Questo bonus incentiva a restare in servizio: i lavoratori che matureranno nel 2025 i requisiti per la pensione anticipata Quota 103, ma anche, altra novità, coloro che raggiungeranno nel 2025 le condizioni per la pensione anticipata ordinaria (42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne).

In pratica, il lavoratore che sceglierà di non andare in pensione riceverà in busta paga la quota dei contributi a proprio carico (pari al 9,19%), con un incremento netto del proprio stipendio pari a tale cifra. Esercitando questa opzione, però, si avrà sì un aumento dello stipendio, ma anche un minor versamento di contributi utili ai fini previdenziali, perché continueranno a essere versati solo quelli a carico dell’azienda.

Nel corso del tempo, quindi, il montante contributivo utile ai fini pensionistici continuerà ad aumentare ma in misura inferiore.

Sarebbe più corretto non scomodare l’ex ministro del Lavoro Roberto Maroni intestandogli un bonus che ha ben poco da spartire con quello introdotto nella riforma che porta il suo nome (legge 243/2004). In quella sede l’incentivo era costituito dall’inclusione in busta paga dell’importo corrispondente all’intera aliquota contributiva allora del 32,7%, per di più detassato. Con gli effetti economici indicati nella tabella.

Riforma pensioni 2025, la pensione anticipata contributiva

Chi è nel sistema contributivo potrà cumulare la previdenza obbligatoria e quella complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni. A questo proposito è bene sottolineare un’altra variante. Per i lavoratori che si avvalgono della facoltà di utilizzare anche il valore di una o più prestazioni di rendita di forme pensionistiche di previdenza complementare, ai fini del conseguimento dell’importo soglia mensile, il requisito contributivo attualmente di 20 anni di contribuzione effettiva, passa a 25 anni dal 1° gennaio 2025, prevedendo l’adeguamento agli incrementi alla speranza di vita. A decorrere dal 1° gennaio 2030 l’importo soglia di accesso a pensione sia elevato a 3,2 volte rispetto all’assegno sociale. Questi stessi lavoratori incappano in un’ulteriore restrizione che prevede la non cumulabilità della pensione anticipata, dal primo giorno di decorrenza della pensione e fino alla maturazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo, a eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, nel limite di 5.000 euro lordi annui.

Fonte – Quotidianopiù

Come evidenziato dalla tabella, la pensione anticipata contributiva prevede un accesso agevolato rispetto alle altre tipologie di pensione in quanto è prevista una riduzione nell’età anagrafica necessaria e un totale di contributi accreditati inferiore rispetto all’anticipata ordinaria. L’accesso, però, è destinato, in linea generale, ai soggetti contributivi puri i quali rispettano le soglie di accesso in riferimento all’importo della loro pensione. È una tipologia di pensione che, nel corso degli ultimi anni, ha subito diversi ritocchi, diventando più stringente, soprattutto a seguito dell’inserimento del tetto massimo di liquidazione dell’importo.

In sostanza per anni la politica di talune forze di governo ha dato priorità al pensionamento anticipato/anzianità (vedasi Quota 100). Ora sono quelle stesse forze, redente, a restringere molto questa tipologia di accesso che è alla base di gran parte degli squilibri e delle iniquità del sistema pensionistico italiano.

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