Il testo della Legge di bilancio 2025, che comprende anche la parte che riguarda la previdenza, non trattata in maniera autonoma ma inserita nel gran calderone dei provvedimenti che saranno presumibilmente approvati con il voto di fiducia, va nella direzione opposta a quella che vorrebbero i lavoratori.
Forse, alla fine, ci potrà essere qualche lieve miglioramento sulle pensioni minime che potrebbero essere aumentate di dieci euro al mese e si aprirà un nuovo semestre di silenzio/assenso per implementare la previdenza complementare, ma l’impianto complessivo non cambierà mantenendo l’ossatura della riforma pensioni della Fornero e rimandando sine die un problema che, vista la complessità, si ha paura di affrontare.
Prorogare di un altro anno i tre istituti che permettono un’uscita anticipata dal mondo del lavoro con numeri bassissimi di fruitori e cercare di disincentivare le uscite concedendo un 9,19% netto sullo stipendio, ma non sulla pensione futura, è un modo molto facile e assolutamente non esaustivo di affrontare il problema.
Far credere agli italiani di raggiungere 1.000 euro al mese sulle pensioni minime entro il termine della legislatura quando siamo ormai a metà mandato, sperando in una situazione economica che improvvisamente esploda nei prossimi tre anni, è poco serio, ben sapendo che non sarà possibile raggiungere tale obiettivo. Le previsioni troppo ottimistiche sul Pil fatte dal Governo di un aumento dell’1% per il 2024 sono state completamente disattese, tanto che l’Istat pochi giorni fa ha comunicato un aumento per quest’anno del Pil di appena lo 0,5%. I dati pur positivi di un incremento dei dati occupazionali che ci sono stati nel 2024 sono controbilanciati da una riduzione della produzione industriale che si verifica da troppi mesi e le buone notizie sullo spread e sulla borsa sono compensate da un enorme debito pubblico che nel 2025 sfonderà il tetto di 3.000 miliardi. Le persone non stanno bene, con stipendi fermi da quasi vent’anni e pensioni che dai dati Inps sono per il 30% inferiori ai 1.000 euro, di cui un terzo addirittura sotto i 500 euro.
La prospettiva previdenziale per le giovani generazioni è deprimente, con la consapevolezza di dover lavorare ben oltre i settant’anni percependo una pensione che sarà il 50% dello stipendio, a causa di un mix esplosivo di denatalità e aumento dell’aspettativa di vita da far tremare i polsi. Un Paese che appare appiattito, ripiegato su se stesso, apatico e senza progettualità con i giovani cervelli che emigrano e immigrati che non si riesce a integrare per coprire mestieri che gli italiani non vogliono più fare. Si approverà, quindi con il solito maxiemendamento una Legge di bilancio che “galleggia” e che non incide in maniera profonda nella vita dei cittadini.
Sulla previdenza, che a dispetto di quanto promesso in campagna elettorale regge completamente sulla riforma pensioni della Fornero, nessuna idea e nessun intervento significativo, mantenendo la commistione tra previdenza e assistenza la cui separazione farebbe immediatamente venire alla luce illeciti e clientelismi con un guadagno per l’Erario di almeno due/tre miliardi, adducendo l’impossibilità di scorporare due istituti che per talune prestazioni sociali denotano una natura ibrida che cumulano caratteri propri tanto della previdenza quanto dell’assistenza e nessun’altra ipotesi su qualsivoglia altra visione alternativa sull’orizzonte previdenziale che non sia nei canoni già conosciuti emerge in maniera significativa.
Ne è prova l’articolata proposta di Perfetto-Armiliato-Gibbin sulla possibilità di istituire un’imposta alla forza lavoro robotica annoverando tra gli “occupati” anche robot e AI. Tale proposta, che potrebbe risolvere almeno in parte il problema della previdenza facendo pagare i contributi alle aziende che utilizzano robotica e AI, pur inviata alle competenti istituzioni non è stata alcunché considerata perché si è preferito continuare nel solco del passato, attuando piccoli provvedimenti, preferendo non disturbare le aziende perché ciò avrebbe pesato in maniera significativa sui loro bilanci.
Un 2025, in sostanza sprecato dal punto di vista della previdenza, con i giovani che saranno costretti a rimanere nel mondo del lavoro fino a 70 anni con pensioni dimezzate, donne, che sono il vero welfare statale, penalizzate con retribuzioni inferiori del 40% rispetto agli uomini e con le pensioni minime ai limiti della povertà aumentate di due caffè al mese.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.