In vista della Legge di bilancio è auspicabile che in materia di riforma pensioni non si commettano errori che implichino nuovi costi. C’è un tema però che sarà difficile non affrontare, quello delle indicizzazioni, anche perché a fine anno viene a scadenza la normativa vigente in un contesto in cui la fiammata inflazionistica che aveva fatto temere un forte incremento della spesa si è recentemente smorzata. Inoltre, è stata sollevata un’eccezione di incostituzionalità delle ultime misure adottare dal Governo Meloni. I giudici delle leggi, chiamati in causa anche nei casi precedenti, hanno sempre trovato il modo di salvare i cavoli della finanza pubblica anche a scapito della tutela dei diritti dei titolari dei trattamenti più elevati; ciò tranne che nel caso della sentenza n. 70 del 2015, nella quale la Consulta irritualmente non si pronunciò sulla legalità ma sull’adeguatezza della misura. In sostanza il taglio fu ritenuto incostituzionale non in sé ma per la sua portata.



Da più di 20 anni è in vigore un meccanismo che, in linea generale, prevede l’indicizzazione piena solo per le quote di pensioni più basse e una parziale per le quote di pensioni superiori. Sulle indicizzazioni ci sono stati molti interventi, spesso contraddittori e con l’unico scopo di produrre risparmi di sistema che però non hanno mai avuto una finalizzazione di sostegno al sistema delle pensioni; in alcuni periodi le pensioni non hanno ricevuto alcuna perequazione mentre in altri le prestazioni hanno subito differenti indicizzazioni che hanno tuttavia prodotto una riduzione strutturale e non più recuperabile nel valore delle prestazioni; per questi motivi la Consulta è stata investita più volte della questione di legittimità della miscellanea dei provvedimenti di volta in volta assunti. Di seguito un breve cronistoria.



2007 e anni precedenti – Indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a tre volte il trattamento minimo (fino a 1.382,91 euro lordi mensili); 90% sulla quota di pensione compresa tra 3 e 5 volte il trattamento minimo (da 1.382,92 a 2.304,85 euro lordi mensili): 75% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il trattamento minimo (da 2.304,86 euro lordi mensili). Nel 2007 (secondo Governo Prodi, ministro del Lavoro Cesare Damiano) la Consulta chiamata a pronunciarsi sancì la legittimità della norma.

2009-2010 – È stabilito un beneficio per la perequazione piena, ma a carico del secondo scaglione: indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 5 volte il trattamento minimo (fino a 2.217,80 euro lordi mensili nel 2009 e 2.288,80 euro nel 2010); 75% sulla quota di pensione superiore a 5 volte il trattamento minimo (da 2.217,81 euro lordi mensili nel 2009 e da 2.288,81 euro nel 2010).



2011 – Terminato il triennio previsto di ampliamento della quota di pensione coperta integralmente dall’inflazione, si torna alla situazione “normale’’ del 2007.

2012-2013 – Il Governo Monti, con la manovra “salva Italia” di fine 2011, blocca la perequazione per le pensioni d’importo superiore a 3 volte il minimo per gli anni 2012 e 2013. Indicizzazione al 100% del costo vita sulla quota di pensione fino a 3 volte il trattamento minimo (fino a 1.405,05 euro lordi mensili nel 2012, e 1.443 nel 2013). Le pensioni di importo superiore a 3 volte il minimo non ricevono alcuna rivalutazione. Questa misura fu dichiarata incostituzionale perché viziata, non da illegittimità ma da inadeguatezza (sentenza n.70 del 2015, relatore Silvana Sciarra). Il che indusse il Governo Renzi, allora in carica, a rimediare per decreto (dl n. 65/2015) ampliando, in modo retroattivo, il numero dei soggetti tutelati (senza coprire tuttavia l’intera platea), e con aliquote di perequazione ridotte man mano che cresceva l’ammontare del trattamento. La Consulta considerò legittimo l’aggiustamento. Si determinò così, a seguito del decreto legge, un regime transitorio che avrebbe dovuto concludersi nel 2017 per fare ritorno al modello classico delle tre fasce. Ma nella legge di bilancio per il 2016 (allo scopo di finanziare l’Opzione donna) tale termine venne spostato alle fine del 2018.

2019 – Sarebbero dovute tornare in vigore le vecchie regole (previste dalla legge 388/2000) che – come abbiamo ricordato – prevedevano tre scaglioni: fino a tre volte il minimo, con rivalutazione al 100%, fra tre e cinque volte il minimo, con rivalutazione al 90%, e sopra cinque volte il minimo, con indice al 75%. La manovra 2019, invece, cambiò le carte in tavola: gli indici di rivalutazione diventarono meno favorevoli con il salire della pensione (non cambiava nulla fino a tre volte il minimo, nel qual caso si manteneva la rivalutazione piena). Ecco il folklore dei nuovi scaglioni: 97% fra tre e quattro volte il minimo, da 1.522 e 2.029 euro; 77% da quattro a cinque volte il minimo, fino a 2.537 euro; 52% fra cinque e sei volte il minimo, fino a 3042 euro,; 47% fra sei e otto volte il minimo, fino a 4059 euro; 45% fino a 4566 euro (nove volte il minimo); 40% per gli importi superiori.

Nella legge di bilancio 2022 era previsto il ritorno alla regola aurea; e così è avvenuto dopo tanto girovagare tra le aliquote e le fasce di reddito. Ma, per il 2023 e il 2024, la Legge di bilancio del governo Meloni ha provveduto a un’ulteriore manipolazione con l’obiettivo che, con la minore spesa per la perequazione fossero compensate quelle maggiori.

Anche la nuova maggioranza si è avvalsa della revisione della perequazione automatica per finanziare la decontribuzione dei lavoratori dipendenti. Questa è una novità anche per la giurisprudenza della Corte Costituzionale, perché nei casi precedenti le risorse recuperate attraverso la manomissione della rivalutazione delle pensioni più elevate restavano nel settore pensionistico per interventi a favore dei trattamenti più bassi.

Tabella 1 – Indicizzazione vigente nel 2024

Fascia di reddito da pensione

Percentuale di rivalutazione

Aumento effettivo

Fino a 4 volte il minimo

(fino a 2,272,76 euro)

100%

5,4%

Da 4 a 5 volte il minimo

(da 2,271,76 a 2.839,70)

85%

4,590%

Da 5 a 6 volte il minimo

(da 2.839,70 a 3.407,64)

53%

2,862%

Da 6 a 8 volte il minimo

(da 3,407,64 a 4.543,52)

47%

2,538%

Da 8 a 10 volte il minimo

(da 4.543,52 a 5.679,40)

37%

1,998%

Oltre 10 volte il minimo

(oltre 5.679,40)

22%

1,188%

Precisiamo, infine, che le regole attinenti alla scelta delle percentuali di rivalutazione da applicare e delle relative fasce vengono prese di anno in anno con la Legge di bilancio. Vedremo quelle per il 2025, premesso che è intenzione del Governo continuare a finanziare la decontribuzione.

Quindi, come abbiamo ricordato, nessuna forza politica è legittimata a scagliare la prima pietra, quando si tratta di questa tipologia di interventi, perché tutte, prima o poi, vi hanno fatto ricorso (anche quando stavano in Parlamento esponendo una ditta diversa dall’attuale).

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI