Nei giorni scorsi il Ministro Giorgetti ha illustrato alle organizzazioni sindacali il Piano strutturale di bilancio prima dell’approvazione in Parlamento e dell’invio dello stesso alla Commissione europea. Come ormai si verifica da due anni – da quando, cioè, è al potere la maggioranza di centrodestra – assistiamo a dichiarazioni contrastanti dei leader sindacali con Cgil e Uil che criticano aspramente l’operato dell’Esecutivo e Cisl e Ugl che invece si dichiarano parzialmente soddisfatte e più possibiliste che le loro richieste vengano soddisfatte.



Si aspettava con una certa curiosità questo incontro perché, dopo i recentissimi dati comunicati dall’Istat che hanno ridotto lievemente i pessimi numeri indicati nel Def riguardo a deficit e rapporto debito/Pil si sperava da parte di Giorgetti in una qualche apertura su qualche provvedimento di natura previdenziale. Tutto ciò non si è verificato e anzi il Ministro che ha in mano le redini dell’economia nazionale è rimasto molto cauto affermando che l’impatto di questi nuovi dati sulla prossima manovra economica sarà minimo, quasi impercettibile.



Da quanto è filtrato alla conclusione di questo incontro Governo/sindacati giunto dopo molti mesi di assenza e che di fatto spacca i sindacati che non remando tutti dalla stessa parte possono incidere in maniera molto limitata sulle scelte governative, sembra che, per quanto riguarda l’argomento previdenziale, nulla di sostanziale verrà approvato e ci si limiterà a rinnovare per un altro anno solamente i tre istituti di Quota 103, Ape Sociale e Opzione Donna che scadono il 31/12/2024. Da parte dell’Esecutivo, pertanto, dopo tutte le proposte ipotizzate in questa caldissima estate come per esempio la Quota 41 light, il significativo intervento sulla previdenza complementare, l’istituzione di una pensione di garanzia per i giovani e la fantomatica proposta del Cnel di una amplissima flessibilità in uscita dai 63/64 anni fino ai 72 con incentivi e disincentivi a partire dall’età ordinamentale di pensionamento di 67 anni, ci sarebbe solo il rinnovo degli istituti in scadenza senza nemmeno le auspicate modifiche su Opzione Donna che hanno fatto crollare le domande negli ultimi due anni da circa 40.000 a poco più di 5.000.



Se così sarà, ma sarebbe veramente clamoroso dopo due anni di insediamento del Governo Meloni che con i vari alleati di coalizione parlava in campagna elettorale di smantellamento della Legge Fornero e di nuova riforma previdenziale, assisteremmo a un altro anno completamente perso con il solito” refrain” del rinvio della riforma entro il termine della legislatura quando la situazione economica lo consentirà. Nel frattempo, i dati comunicati dall’Inps nel XXIII rapporto annuale sulla previdenza in Italia evidenziano che la spesa per le pensioni in Italia è aumentata nel 2023 fino ad arrivare a 347 miliardi e che “lo scenario demografico attuale, caratterizzato dall’aumento dell’età media della popolazione, dal calo della fecondità e dalla riduzione della popolazione in età lavorativa, non compensati dall’immigrazione, sta determinando un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti”.

L’unica notizia positiva uscita dal vertice Governo/sindacati in ambito previdenziale è quella della corresponsione a tutti i pensionati della perequazione automatica in seguito all’aumento dell’inflazione. In questo 2024 anche per i significativi interventi attuati dalla Bce l’inflazione in Italia è molto diminuita e si dovrebbe assestare intorno all’1,6% sull’anno precedente. È un risultato molto positivo e nettamente migliore rispetto ai due ultimi terribili anni che, complice anche il vertiginoso aumento dei costi energetici dovuti alla Guerra Russia/Ucraina, sono stati rispettivamente nel 2022 dell’8,1% e nel 2023 del 5,4%. Proprio per i costi esorbitanti generati il Governo ha optato per una perequazione completa solamente per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo e parziale per quelle di importi superiori. In pratica sulla classe media, che poi sono coloro i quali con le loro imposte contribuiscono per oltre la metà dei versamenti complessivi all’Erario, si è fatto cassa con un provvedimento che fa nascere forti dubbi di costituzionalità di una legge su cui la Consulta si esprimerà nei prossimi mesi.

Sarebbe un ulteriore grana per il Governo che si aggiunge a quella della mancata corresponsione entro termini ragionevoli del Tfs ai dipendenti pubblici che dopo la decisione della Corte, dopo oltre un anno dalla sentenza, l’Esecutivo non ha ancora risolto.

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