LE PAROLE DI GIOVANNI FLORIS

Intervistato dal Corriere della Sera in occasione dell’uscita del suo nuovo libro dal titolo “L’alleanza”, Giovanni Floris parla della contrapposizione generazionale presente in Italia, che passa anche dalle misure di riforma pensioni adottate nel tempo. Il giornalista e conduttore tv ricorda che “siamo una nazione anziana nell’età media e con una natalità bassissima. Tutto lo stato sociale è quindi spostato sulle persone molto adulte. Si vede persino nelle scelte politiche”, dato che “tanti politici molto giovani sono arrivati al potere, ma perché hanno promesso di abbassare l’età pensionabile. Nemmeno chi è approdato giovanissimo a palazzo Chigi è riuscito a spostare l’asse sulle nuove generazioni”. Nemmeno troppo velatamente sembrano esserci quindi dei riferimenti sia alla Lega di Salvini che a Matteo Renzi. Il risultato di questa situazione per Floris è che i pensionati diventano il welfare per figli e nipoti, che poi emigrano, come del resto però fanno anche molti anziani in cerca di vantaggi fiscali in altri Paesi.



RIFORMA PENSIONI, LA PROPOSTA PER EUROPARLAMENTARI

Da un report realizzato dal Parlamento europeo, come riporta lanotiziagiornale.it, emerge che “i parlamentari italiani sono i più pagati tra i 27 Paesi membri”, ma anche che le pensioni degli ex eurodeputati sono molto costose, si parla di quasi 1.500 euro che si maturano dopo una sola legislatura, anche perché “sono stabilite in relazione all’ammontare delle pensioni degli eletti alla Camera bassa (Montecitorio per quanto riguarda l’Italia) di ogni singolo Paese”. Torna quindi a galla l’annoso tema di una necessaria riforma pensioni per i parlamentari, in questo caso europei. Sabrina Pignedoli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, spiega che è già pronta una proposta che “prevede un ricalcolo e una riforma delle pensioni degli eurodeputati, affinché il diritto pensionistico dei deputati sia in linea con i sistemi previdenziali dei cittadini ordinari dei singoli Stati membri. Una società avanzata come la nostra non può legittimare cittadini di serie A, con infiniti privilegi, e di serie B con diritti dimezzati. Questi diversi trattamenti sono inaccettabili”.



SENTENZA CONSULTA SU PENSIONI ARS

Dopo il lungo tira-molla sulle pensioni dei consiglieri regionali in Sicilia, arriva la parola definitiva dalla sentenza della Corte Costituzionale: l’estensione della riforma pensioni di Quota 100 ai dipendenti regionali è incostituzionale perché manca la copertura finanziaria necessaria. «La norma introdotta l’anno scorso in uno dei collegati alla Finanziaria vedrebbe, da un lato, aumentato il carico finanziario della spesa per i trattamenti di quiescenza (in ragione della più giovane età dei pensionati) e, dall’altro, non sarebbe sostenuto, nel tempo, da adeguate risorse contributive in assenza di nuove assunzioni», spiega la Consulta secondo le anticipazioni di Repubblica. In questo modo, finche manca una nuova norma adeguata sulle coperture, devono essere bloccate le pratiche per i dipendenti di Palazzo D’Orleans. Immediata la reazione dei sindacati Siad, Csa e Cisal che hanno scritto ai presidente della Regione e dell’Ars, Nello Musumeci e Gianfranco Miccichè, per farsi promotore «di una nuova iniziativa legislativa, supportata da una adeguata relazione tecnica, per sanare le eventuali lacune normative superare le motivazioni di tale impugnativa e riconoscere il giusto diritto anche ai dipendenti regionali discriminati pure sul fronte pensioni», scrivono scrivono i sindacalisti Angelo Lo Curto e Giuseppe Badagliacca. (agg. di Niccolò Magnani)



L’USO DEL RISPARMIO IN PROSPETTIVA PREVIDENZIALE

In un articolo pubblicato sul sito di Ipsoa viene evidenziato come l’aumento dei risparmi degli italiani possa essere impiegato “in prospettiva previdenziale”, utilizzando i fondi pensione piuttosto che ricorrendo al riscatto agevolato della laurea introdotto con le misure di riforma pensioni del Governo Conte-1. Giuseppe Rocco, esperto previdenziale autore dell’articolo, ricorda che il riscatto della laurea può aiutare i lavoratori anziani ad aumentare la propria anzianità contributiva e il montante contributivo, mentre per i giovani rappresenta “un investimento di lungo termine” che potrebbe non risultare molto conveniente in termini di incremento del montante contributivo, senza dimenticare che nel tempo le regole per l’accesso al pensionamento potrebbero cambiare. Per i giovani appare quindi preferibile la soluzione della previdenza complementare, anche perché i fondi pensione godono della deducibilità fiscale dei contributi versati fino a 5.164,57 euro l’anno e potrebbero garantire l’accesso a forme di anticipazione come la Rita.

QUALI POSSIBILITÀ PER UN PASSAGGIO AL CONTRIBUTIVO PIENO?

La possibilità che si arrivi a una riforma pensioni che preveda il ricalcolo contributivo degli assegni in essere o di quelli futuri per i pensionandi spinge un lettore del sito di Repubblica a chiedere all’esperto pensioni un parere in merito. Nella risposta a cura della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro evidenzia che la progressiva conversione al metodo contributivo nel sistema pensionistico è stata “spinta dalla riforma Fornero che ha disposto, anche per coloro che avevano almeno 18 anni di contributi al 1995, l’applicazione del metodo contributivo (se meno vantaggioso alla luce della L. 190/2014) a far data dal 2012. Il risparmio dello Stato sarà sicuramente rilevante, vista la sproporzione del metodo retributivo fra assegno elargito e contribuzione effettivamente versata. Il risparmio sarà cruciale però solo se tale ricalcolo sarà efficace anche delle pensioni già liquidate. Tale scenario non rispetterebbe tuttavia il principio della tutela dei diritti acquisiti, salvo possibili estensioni del meccanismo di taglio delle cd. pensioni d’oro che colpisce le sole pensioni con almeno una quota retributiva, di valore superiore a euro 100.000 su base annua”.

RIFORMA PENSIONI, LA RICHIESTA ANIEF

L’Anief, attraverso il suo Presidente nazionale Marcello Pacifico, torna a chiedere una misura di riforma pensioni consistente in “una finestra d’accesso specifica per chi lavora a Scuola, la quale permetta di lasciare il lavoro a 61 anni. In ballo c’è un rischio biologico che lo Stato non ha mai voluto accertare e che però con il Covid è diventato palese. Gli oltre 200 mila insegnanti over 55, che l’Inps sino alla scorsa primavera collocava tra i ‘fragili’, salvo poi rimangiarsi tutto in estate, non possono attendere quasi 70 anni di età per andare in pensione”. Dal suo punto di vista, come riporta orizzontescuola.it, il fatto che “50 mila docenti e Ata l’anno prossimo lasceranno la scuola aderendo in gran numero a Quota 100 significa che stiamo parlando di dipendenti esasperati, costretti a vedersi negare un diritto sacrosanto, quale è l’assegno pieno di quiescenza, perché derivante da quasi quattro decenni di contributi regolarmente versati”.

LE PAROLE DI PACIFICO

L’Anief ritiene poi inaccettabile le misure di anticipo pensionistico che contengono penalizzazioni pesanti come Opzione donna, che prevede il ricalcolo contributivo pieno dell’assegno. “Come si fa a chiedere a una docente, a un’amministrativa o ad una collaboratrice scolastica di tagliarsi dalla pensione anche più di 600 euro al mese? Lo riteniamo un prezzo da pagare altissimo. Ancora di più perché lo si chiede a dei dipendenti pubblici nei confronti di quali non si applica alcuna considerazione per l’alta percentuale di insorgenza di malattie professionali derivanti al cosiddetto burnout”, evidenzia Pacifico.