Riforma delle pensioni: sul primo dei tavoli tecnici predisposti al ministero del Lavoro si è parlato ieri di assegno di garanzia per i giovani. È uno strano modo di affrontare questo problema per almeno due motivi. Il primo: quando percepiranno la prestazione di garanzia i giovani saranno almeno anziani. Se si vuole forse parlare dei giovani d’oggi che secondo la mistica del precariato non riceveranno la pensione, sarebbe il caso di specificarlo, perché parlare di pensione per i giovani è una contraddizione in termini. Il secondo: è singolare che le organizzazioni sindacali si attrezzino a tutelare i giovani per quando diventeranno anziani. A pensarci bene, però, l’assegno di garanzia potrebbe diventare una misura di carattere strutturale, perché se passasse l’ipotesi di consentire il pensionamento anticipato a partire da 62 anni con almeno 20 di anzianità purché la prestazione fosse interamente calcolata con sistema contributivo, le pensioni inadeguate non sarebbero solo quelle abbinate a non ben precisati “giovani”, ma a parecchie persone che scegliessero di avvalersi di questa via d’uscita (senza che fosse mantenuto – come pare essere intenzione del governo – la condizione essenziale (prevista dalla riforma Fornero) di percepire un trattamento multiplo dell’assegno sociale).
Per rendersi conto di questo possibile esito è sufficiente considerare l’ammontare contributivo risultante da 20 anni di versamenti e il coefficiente di trasformazione previsto all’età di 62 anni (inversamente proporzionale all’incremento dell’attesa di vita) che servirebbe da moltiplicatore. Si replicherà a questa considerazione che nessuno sarà obbligato a pensionarsi anticipatamente e che la sottoposizione al calcolo contributivo integrale (per questo motivo i sindacati non sono d’accordo) potrebbe funzionare da disincentivo. Ma la propensione per il pensionamento anticipato è ormai scritto nel dna degli italiani e continua a essere favorito dal legislatore, com’è avvenuto anche lo scorso anno con quota 100 e con il blocco a 42 anni e dieci mesi (un anno in meno per le donne) del pensionamento anticipato a prescindere dal requisito anagrafico; deroghe sperimentali che resteranno in vigore, la prima fino a tutto il 2021, la seconda fino a tutto il 2026.
Ovviamente, le norme citate prevedono comunque un requisito contributivo ragguardevole (anche nel caso dei 38 anni richiesti per accedere a quota 100) ed è quindi comprensibile che l’importo mensile medio (si veda la tabella 1) sia moderatamente elevato (quello dell’anzianità in tutti i regimi è un multiplo di quello pensione di vecchiaia). Non è una novità che i trattamenti di anzianità – soprattutto nel regime dei lavoratori dipendenti privati, quelli indicati nella tabella, e pubblici – siano strutturalmente in numero superiore delle pensioni di vecchiaia, perché le coorti che vanno in pensione anticipata possono vantare lunghi periodi di servizio stabili, continuativi e iniziati spesso in età “precoce”. Le cose, però, potrebbero cambiare a fronte di un radicale abbassamento del requisito contributivo in parallelo con la diminuzione netta dell’età pensionabile (62 anni), senza neppure il correttivo dell’indicizzazione all’aspettativa di vita.