SPESA PENSIONISTICA SALE AL 16,6% DEL PIL

L’Istat ha diffuso i dati sulle condizioni di vita dei pensionati relativi al 2018 che non vanno trascurati nel momento in cui si parla di interventi di riforma pensioni. Ad esempio, la spesa pensionistica si è attestata al 16,6% del Pil, quando nel 2017 era al 16,5%, interrompendo tra l’altro una tendenza al ribasso che c’era stata nel triennio precedente. Complessivamente, la spesa totale, compresa quella di tipo assistenziale, ha raggiunto i 293 miliardi di euro. Da evidenziare anche che un pensionato su tre riceve un assegno inferiore ai mille euro lordi, mentre il 12,2% di essi non arriva ai 500 euro. L’Istat ha anche rilevato che per circa 7,4 milioni di famiglie le pensioni “rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile e nel 21,9% dei casi le prestazioni ai pensionati sono l’unica fonte monetaria di reddito”. Inoltre, la presenza di un pensionato dimezza quasi il rischio povertà delle famiglie vulnerabili. Confermato anche il gap tra uomini e donne nell’importo percepito, nonostante le pensionate siano più dei pensionati.



PENSIONAMENTI NELLA PA AL +300%

Tra i dati forniti da Pasquale Tridico in audizione alla commissione parlamentare sugli Enti gestori previdenziali anche quello, come riporta Agenzia Nova, del numero di domande di pensione anticipata presentate l’anno scorso. Quelle “del settore privato sono state il 32,9 per cento in più rispetto al 2018, mentre quelle del settore pubblico sono state circa il 300 per cento in più”. In tema di riforma pensioni, intanto, Maurizio Landini ribadisce, come riporta Askanews, che “noi siamo per andare ad una revisione radicale della riforma Fornero che ha prodotto problemi seri”. Il Segretario generale della Cgil ha anche evidenziato che “un sistema puramente contributivo non esiste da nessuna parte ed è sotto gli occhi di tutti che con il mercato del lavoro che c’è, determina che uno lavori una vita e poi non abbia i soldi per campare quando va in pensione”. Per Landini “c’è bisogno della pensione di garanzia, e ipotizzare che anche persone che hanno momenti di non lavoro debbano poter contare su un sistema solidale che li copra quei periodi come se avessero lavorato”.



CGIL E UIL CONTRO TRIDICO

Durante l’audizione alla commissione parlamentare sugli Enti gestori previdenziali, Pasquale Tridico ha proposto nuovamente una misura di riforma pensioni per dotare l’Inps di un fondo integrativo pubblico destinato ad aiutare il futuro pensionistico dei giovani. “Il nostro sistema di previdenza complementare è già plurale, libero e concorrente e va rafforzato attraverso un rilancio delle adesioni e ripristinando una fiscalità incentivante”, è il commento di Domenico Proietti alla proposta di Tridico. Roberto Ghiselli, come riporta il sito di Rassegna sindacale, evidenzia invece che “chi ha un lavoro povero o precario non è nelle condizioni di versare contributi sufficienti per costruirsi una pensione pubblica, figuriamoci se avrà mai le disponibilità finanziarie per fare versamenti aggiuntivi per un Fondo integrativo”. Per il Segretario confederale della Cgil occorre quindi rafforzare la previdenza pubblica e valorizzare “le posizioni previdenziali così da permettere anche ai giovani e alle donne occupati nelle attività più svantaggiate di avere una pensione dignitosa, quella che noi chiamiamo ‘pensione contributiva di garanzia’”.



RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BOERI

In tema di riforma pensioni va segnalato un lungo intervento di Tito Boeri su Repubblica, nel quale scrive che “Salvini ha schierato la classe 1959, beneficiaria di Quota 100, contro la classe 1960, tagliata fuori dalla misura bandiera del ‘suo’ governo, ha messo gli uomini con le loro lunghe carriere contro le donne che hanno molte interruzioni di carriera e che avevano come un’unica via d’uscita l’opzione donna, assai meno vantaggiosa di Quota 100. Ora si vogliono introdurre nuove quote, nuovi regimi particolari, a beneficio di qualche coorte. Ci si dimentica che questo continuo creare delle eccezioni mina alle basi il sistema pensionistico perché corrompe la solidarietà tra generazioni di cui il sistema si nutre per assicurare il pagamento delle prestazioni”.

L’APPUNTO SULLE BUSTE ARANCIONI

L’ex Presidente dell’Inps ricorda che “col passaggio al contributivo sarà possibile andare in pensione fino a tre anni prima (oggi sarebbero 64 anni), ma accettando, se si fa questa scelta, di avere una pensione più bassa perché il montante accumulato durante la propria carriera lavorativa dovrà essere spalmato su un numero maggiore di anni”. Dal suo punto di vista è utile però “porre come condizione anche il fatto di avere raggiunto livelli minimi delle prestazioni”, così da evitare di avere futuri pensionati indigenti. Boeri evidenzia anche che “da 12 mesi ormai non partono più buste arancioni che fornivano stime dei propri redditi pensionistici al termine della vita lavorativa, né si è allargata la platea di chi può simulare la propria pensione futura. Al posto della lungimiranza si istiga alla cortomiranza”.