LE FINESTRE DI ATTESA DA 3 A 21 MESI
Il Sole 24 Ore in un articolo ricorda che con le varie misure di riforma pensioni che si sono succedute, ci sono finestre per l’ingresso alla quiescenza che vanno “da un minimo di 3 a un massimo di 21 mesi di attesa. Il diritto a riscuotere l’assegno di pensione, una volta maturati i requisiti, molto spesso non è automatico. Lavoratori privati o pubblici, partite Iva o co.co.co: ogni ‘categoria’ ha la propria finestra di uscita, che si apre con tempi diversi”. Partendo dalla finestra minima, quella di tre mesi, è prevista per Quota 100 (salvo che per i dipendenti pubblici) e la pensione anticipata di anzianità. Con Opziona donna si può arrivare a 18 mesi nel caso di lavoratrici autonome. Ma la finestra massima, pari a 21 mesi, spetta a chi utilizza la totalizzazione dei contributi (nel caso di pensione di anzianità con 40 anni di contributi). Il quotidiano di Confindustria ricorda anche che chi utilizza la pensione di vecchiaia a 67 anni non deve fare i conti con alcuna finestra per accedere alla quiescenza.
PROIETTI: ESTENDERE FLESSIBILITÀ
Domenico Proietti torna a ribadire che “Quota 100, assieme all’Ape Sociale, seppur in via sperimentale e con dei limiti, ha rappresentato e rappresenta a suo modo un elemento di flessibilità, ragione per cui non va abolita prima della scadenza”. In tema di riforma pensioni, il Segretario confederale della Uil ritiene che si tratti di “una flessibilità però che non è sufficiente e non ricomprende tutti, ecco perché secondo la Uil, deve essere maggiormente estesa affinché divenga più equa per tutti i lavoratori”. Intervistato da pensionipertutti.it, Proietti, oltre a contestare i rilievi dell’Ocse mossi a riguardo del sistema pensionistico italiano, aggiunge anche che “non possiamo più esimere dall’affrontare il delicato tema dell’adeguatezza degli assegni pensionistici”. Dal suo punto di vista su questo tema ci sono due soluzioni “da proporre nell’immediato: eliminare da subito il blocco della rivalutazione delle pensioni, ed elargire la quattordicesima per le pensioni fino a 1.500 euro”.
I GERIATRI: ANDARE IN PENSIONE FA MALE
Secondo la Società italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg), “andare in pensione fa male alla salute. Lavorare stanca, ma protegge corpo e mente”, come scrive Il Messaggero citando anche Niccolò Marchionni, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze e direttore di Cardiologia generale all’ospedale Careggi, secondo cui “a parte le persone che hanno avuto una vita lavorativa molto usurante, chi è malato, chi ha cominciato in età molto giovane, in generale la pensione crea fragilità e peggiora lo stato di salute. Quota 100, poi, è immorale. A 60 anni si è in forze”. Parole quindi che sembrano indicare la necessità di misure di riforma pensioni che distinguano tra le professioni svolte e anche l’inizio dell’attività lavorativa. “Quello che avvertiamo noi medici è che uscire dal mondo del lavoro sia peggiorativo anche per la salute percepita, cioè che essere fuori dal lavoro incida sul modo di sentirsi dalle persone stesse, sia fisicamente che psicologicamente: essere pensionati innesca un meccanismo che fa sentire nell’ultima fase della vita, non più coinvolti, fuori da tutto”, spiega Nicola Ferrara, Ordinario di Geriatria all’Università Federico II di Napoli.
L’USO DEL CONTRATTO DI ESPANSIONE
In tema di riforma pensioni c’è chi non avrà dimenticato lo strumento del contratto di espansione, che può consentire nelle aziende con più di 1.000 dipendenti l’uscita dal mondo del lavoro con 5 anni di anticipo. Nei giorni scorsi ha deciso di avvalersene la Ericsson e Laura Castelli ha spiegato che l’intesa firmata al ministero del Lavoro “avrà validità fino al 31 dicembre 2020 e prevede l’assunzione di 30 persone con profili professionali innovativi, un considerevole piano di formazione e riqualificazione professionale a beneficio di oltre 1.500 dipendenti e l’adesione volontaria allo scivolo pensionistico per i dipendenti che matureranno il requisito di accesso alla pensione entro i successivi 60 mesi. Il viceministro dell’Economia auspica “che la politica tutta sia sensibile alla necessità di rendere strutturale questa misura, che oggi vede un grande successo senza lasciare a casa nessuno e senza lasciare indietro nessuno”. Vedremo se ci saranno altre aziende che decideranno di usare questo strumento.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI BOERI
In un articolo su Repubblica, Tito Boeri critica la riforma pensioni con Quota 100, in particolare sul mancato turnover nel mercato del lavoro che avrebbe dovuto promuovere stando a quanto dichiarato sia da Matteo Salvini che da Luigi Di Maio. L’ex Presidente dell’Inps ricorda che “nei primi 10 mesi del 2019 sono andate in pensione anticipata, grazie a Quota 100, 132.000 persone”, e “nei primi nove mesi del 2019 ci sono state oltre 250.000 assunzioni in meno rispetto al periodo che va da gennaio a settembre 2018. Questo nonostante la congiuntura sia stata leggermente più favorevole nella prima metà del 2019 che un anno fa. Inoltre il calo delle assunzioni è stato particolarmente vistoso (-10%) tra le persone con meno di 30 anni di età”. Nel settore pubblico, i pensionati con Quota 100 sono stati 36.000 “nei primi nove mesi del 2019 le assunzioni nel pubblico impiego sono rimaste al palo. Anziché creare nuovi lavori, Quota 100 ha, in effetti, accentuato le carenze di personale in molte amministrazioni pubbliche, soprattutto nel Nord del paese”.
L’ACCUSA A QUOTA 100
Per Boeri, quindi, “Quota 100 ha sin qui contribuito alla distruzione di posti di lavoro, non certo alla loro creazione. Se si riuscirà a sostituire rapidamente almeno una parte di coloro che hanno lasciato in anticipo l’impiego pubblico per evitare altre disfunzioni nei servizi pubblici, si rischia di assumere non già giovani, ma persone di mezza età, non necessariamente con quelle competenze ed energie fresche di cui le amministrazioni avrebbero bisogno. E soprattutto si lascerà una volta di più a bocca asciutta i neolaureati che oggi in massa fuggono dal nostro Paese”.