LE PAROLE DI ANGELA SCHIRÒ

Angela Schirò auspica una riforma delle pensioni che contenga una “flessibilità ‘ragionata’ che dia la possibilità alle persone di scegliere autonomamente la data di uscita dal lavoro a seconda delle proprie esigenze e dei propri bisogni e consenta quindi la facoltà di anticipare o ritardare l’uscita dal mercato del lavoro senza vincoli particolari se non un ricalcolo dell’importo della pensione, accanto ovviamente ad interventi – come chiedono i sindacati – che comunque riconoscano il lavoro di cura e quello delle donne, i lavori gravosi, aiutino i disoccupati con età avanzata e le categorie fragili e infine offrano una prospettiva previdenziale ai giovani e al lavoro povero, e tutelino il potere d’acquisto delle pensioni”. La deputata del Pd eletta all’estero, come riporta l’agenzia Aise, ricorda anche che gli aumenti degli assegni derivanti dalla rivalutazione in vigore dal 1° gennaio “si applicano anche ai prorata italiani delle pensioni in regime internazionale”.



LA “PROVA” PENSIONI PER IL GOVERNO

Secondo Giuseppe Pennisi, intervenuto su “Formiche.net” il primo vero banco di prova per il Governo Draghi dopo i “tumulti” sul Quirinale riguarda la riforma pensioni: lo schema da completare entro il Def di aprile costringerà nelle prossime settimane Ministero del Lavoro e Sindacati a remare dalla stessa, difficile, parte.



«È un banco di prova perché consentirà di toccare se Draghi, fallito il tentativo di trascolare al Quirinale, è ancora in grado di dare indirizzo al governo su un tema importante e che riguarda l’intera finanza pubblica o, invece, è costretto a mediazioni tra le forze politiche e sociali ed anche ad ingoiare soluzioni che da economista dovrebbe respingere», spiega Pennisi. Nel prossimo incontro del 7 febbraio sul tavolo arrivano i nodi “giovani” e “donne”, una prima verifica per l’esecutivo: condizioni più dignitose per la pensione futura per i primi, carriere discontinue per le seconde. Occorre però fare attenzione alle varie proposte per non scardinare del tutto il metodo contributivo inserito nella riforma pensioni del 1995: più semplice e produttiva sarebbe la proposta di legge presentata nel 2009 alla Camera da Giuliano Cazzola e al Senato da Tiziano Treu ed altri (qui il pdf integrale). Per Pennisi si tratta di uno «sgabello a tre gambe»: la prima «finanziata dalla fiscalità generale ed eguale per tutti come pensione di vecchiaia (da riscuotere non prima dei 67 anni o di altra età determinata da criteri connessi all’aspettativa di vita». La seconda «rigorosamente contributiva e “flessibile” (prima si va in pensione più piccolo è l’assegno)»; la terza e ultima, «interamente privata (con l’impegno di non cambiare ogni due – tre anni l’imposizione tributaria». (agg. di Niccolò Magnani)



I DATI DELLA COVIP

Uno dei temi sul tavolo del confronto tra Governo e sindacati sulla riforma delle pensioni riguarda la previdenza complementare. Come riporta Il Sole 24 Ore, la Covip ha appena diffuso dei dati che mostrano come a fine 2021 gli iscritti ai fondi pensione “sono risultati 403mila in più dell’anno precedente, con una crescita complessiva del 4,3% e punte del 6,6% nei fondi aperti e del 6% registrata nell’area di quelli negoziali. Mentre le risorse destinate alle prestazioni solo lievitate di 14,7 miliardi rispetto al 2020 toccando quota 212,6 miliardi”. L’autorità di vigilanza sui fondi pensione evidenzia anche che “lo scorso anno i risultati sono stati in media positivi, e più elevati per le linee di investimento caratterizzate da una maggiore esposizione azionaria” e che “nel decennio 2012-2021 il rendimento annuo ‘composto’ delle forme di previdenza integrativa (su orizzonti più propri del risparmio previdenziale) sia stato pari al 4,1% per i fondi negoziali, al 4,6% per quelli aperti, al 5% per i Pip e al 2,2% per le gestioni di ramo I. Nello stesso periodo la rivalutazione del Tfr è risultata pari all’1,9% l’anno”.

LA RICHIESTA ANP-CIA SULLE MINIME

Giancarlo Innocenti è stato eletto Presidente dell’Associazione pensionati della Cia di Grosseto e, come riporta ilgiunco.net, ha spiegato che un tema di cui si occuperà nel suo mandato riguarda l’accresciuta “iniquità delle pensioni dei coltivatori diretti che pur avendo versato i contributi percepiscono circa 200 euro mensili in meno dei 780 euro erogati mediante il reddito di cittadinanza”. “L’equiparazione di trattamento a questo livello è dunque l’obbiettivo minimo che ci poniamo e che intendiamo perseguire con una forte azione di denuncia e rivendicazione, chiedendo insomma alla politica di smarcarsi da un’ingiusta legge che deve essere rivista”. Da tempo è nota la battaglia della Cia per un aumento delle pensioni minime e dunque non deve stupire che anche a livello locale e nell’associazione che rappresenta gli agricoltori pensionati venga ribadita la necessità di aumentare l’importo degli assegni per portarli quanto meno al livello che può essere erogato ai percettori del Reddito di cittadinanza.

RIFORMA PENSIONI, LA POSIZIONE DI BRAMBILLA

Alberto Brambilla, in un articolo pubblicato su L’Economia, l’inserto del Corriere della Sera, anticipa alcuni dati contenuti nel Rapporto sul bilancio previdenziale italiano elaborato dal Centro studi di Itinerari Previdenziali, da lui presieduto, che verrà presentato tra due settimane. Dati che ricordano gli effetti di baby pensioni e pensioni di invalidità distribuite soprattutto negli anni ’80 sulla spesa pensionistica e che devono far riflettere “i decisori politici e i rappresentanti dei lavoratori che chiedono, come la Commissione guidata da Cesare Damiano, continue riduzioni delle età di pensionamento”. Dal suo punto di vista, “se non si aggancia l’età di pensione alla speranza di vita i rischi sono quelli che emergono da durate quarantennali di pensioni sorte molti anni fa per esigenze spesso elettorali e ancor oggi in pagamento”.

IL RISCHIO PER LA TENUTA DEL SISTEMA PREVIDENZIALE

“Eppure, ancor oggi assistiamo a proposte di pensionamento con 63 anni di età e 32 di contributi, regole applicata a edili e ceramisti con la Legge di bilancio 2022”, evidenzia Brambilla che aggiunge: “Cosa faranno questi pensionati? Se va bene si riposeranno, ma la maggior parte di loro a 62 anni farà lavori in nero, con tanti saluti alla lotta all’evasione fiscale. Ci vorranno ancora molti anni per ridurre le anomalie del passato che ancor oggi appesantiscono il bilancio del sistema pensionistico. Ma questo è un monito per i fautori delle troppe anticipazioni”, perché la tenuta del sistema previdenziale può essere messa davvero a rischio considerando che “il periodo effettivo lavorativo (al netto della contribuzione figurativa)” corrisponde a “circa 30 anni in media”.

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