ANTICIPO TFS STATALI ANCORA AL PALO

Procede ancora a rilento e a piccoli passi il percorso per rendere operativo l’anticipo del Tfs/Tfr dei dipendenti pubblici introdotto con la riforma pensioni del Governo Conte-1. Sembrava tutto ormai fatto, ma nei giorni scorsi già sui social si rincorrevano post e messaggi di gruppi che segnalavano l’impossibilità di ottenere ancora tale anticipo. Il Sole 24 Ore scrive che il cda dell’Inps “ha approvato la convenzione con cui viene affidata all’istituto di previdenza la gestione del Fondo di garanzia relativo all’anticipo”. In questo modo, è stato fatto “un nuovo passo in avanti, ma non l’ultimo” verso la concreta attuazione della misura. Infatti, la convezione “ora deve essere firmata dai ministeri dell’Economia e del Lavoro”. Per cercare di accelerare i tempi, l’Inps ha già inviato ai ministeri anche la bozza della circolare con le istruzioni operative che dovranno essere usate dalle banche e gli enti erogatori per accedere al fondo di garanzia. “Ad alcuni pensionati del 2019, il Tfs/Tfr arriverà prima dell’anticipo”, conclude il quotidiano di Confindustria.



RIFORMA PENSIONI, LE RIVENDICAZIONI DELLA CUB

La Confederazione unitaria di base ha deciso di proclamare un’intera giornata di sciopero generale per il 23 ottobre spiegando in un documento le ragioni di tale mobilitazione, in particolare per “contrastare il tentativo dei padroni di aumentare sfruttamento e disuguaglianze. Uscire dalla crisi con un nuovo modello di sviluppo per garantire lavoro stabile e tutelato, per aumentare salari, redditi, diritti e welfare”. Tra le rivendicazioni della Cub troviamo anche temi legati alla riforma pensioni. Si chiedono infatti “sistemi nazionali pubblici di previdenza, assistenza, salute, istruzione”, oltre all’ampliamento “dell’offerta di case di edilizia pubblica e introduzione di un tetto al livello degli affitti privati e blocco degli sfratti” per i pensionati e i ceti popolari. In passato dalla Cub è sempre venuta poi la richiesta di cancellare la Legge Fornero seguendo però una linea diversa da quella della flessibilità che invece Governo e sindacati sembrano voler percorrere con il confronto che è stato avviato sul tema nelle scorse settimane.



LE PROPOSTE SU QUOTA 41

O la Quota 102 o la Quota 41, sono queste ormai le due strade che sembrano indirizzate dal Governo verso la lunga riforma pensioni che attende il Paese dopo la scadenza a fine 2021 della Quota 100. Sempre nel focus del Corriere della Sera, viene riassunto tutto quanto ad oggi è stato proposto nei tavoli tecnici finora: tre anni di anticipo sull’uscita dal mondo del lavoro, calo dell’assegno pensioni del 10% e una quota che in realtà non è tale. Questi i tre punti principali di quella che forse indebitamente viene definita “Quota 41”: si tratta infatti di sostituire gli attuali requisiti di pensione anticipata (41 anni e 10 mesi per le donne, 42 anni e 10 mesi per gli uomini) con un nuovo requisito unico pari appunto a 41 anni di contributi senza adeguamenti sull’aumento della speranza di vita. «Con il passare del tempo e con l’aumentare dei contributi richiesti, si finirebbe per andare prevalentemente in pensione con il requisito legato all’età e sempre più difficilmente per anzianità contributiva, rendendo il requisito semi-simbolico. Quota 41 potrebbe porre rimedio a questa situazione, reintroducendo un limite fisso di anzianità contributiva», sottolinea il focus del CorSera in vista delle prossime trattative previdenziali tra tecnici, sindacati e Ministero del Lavoro. (agg. di Niccolò Magnani)



RIFORMA PENSIONI, QUANTO “COSTA” QUOTA 102

In un articolo su L’Economia, l’inserto economico del Corriere della Sera, viene ricordato che l’ipotesi più probabile per sostituire Quota 100 “dovrebbe essere Quota 102. Praticamente, si prospetta la possibilità di farla subentrare, offrendo, a partire dal 2022, la scelta di andare in pensione a 64 anni di età con 38 di contributi (totale 102)”. Viene inoltre spiegato che “secondo le elaborazioni di Progetica, l’anticipo di un anno di pensione porta ad una riduzione dell’assegno di circa il 4% che può arrivare fino al 15% per chi anticiperebbe di 3 anni e 8 mesi con Quota 102”. Tra le misure di riforma pensioni inserite nella Legge di bilancio ci sarà anche la proroga di Opzione donna e, spiega l’articolo dell’Economia, la misura “non dovrebbe presentare grossi problemi di spesa. Potrà infatti essere finanziata dai risparmi registratisi dalla differenza tra le risorse a suo tempo stanziate e quelle effettivamente utilizzate”. Ragione del resto che da tempo porta il Comitato Opzione donna social a prorogare la misura fino al 2023.

L’EQUILIBRO LAVORATORI-PENSIONATI

In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore, Gian Carlo Blangiardo sviscera alcuni dati interessanti nel momento in cui si parla di misure di riforma pensioni da inserire nel nostro sistema. Infatti, evidenzia il Presidente dell’Istat, “il messaggio dei numeri sul versante pensionistico, qualunque sia lo strumento con cui lo si colga, appare chiaro e inequivocabile. L’equilibrio tra i lavoratori-contribuenti, da un lato, e i pensionati, dall’altro, è stato profondamente alterato dalla dinamica demografica lungo tre direttrici”. Ovvero, la caduta della natalità, l’aumento dell’aspettativa di vita e “l’onda di piena dei baby-boomer, giunti ormai alla soglia dell’anzianità”. “In attesa che si possa immaginare un uso più funzionale della leva migratoria – seppur con ben altre modalità di governo dei flussi rispetto al passato – non resta che concentrarci sull’obiettivo di una più ampia conversione del collettivo dei lavoratori ‘potenziali’, che sono tali per motivi anagrafici, in quello dei lavoratori ‘veri’, che lo sono per disponibilità e opportunità”, sottolinea il demografo.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI MANTOVANI

La Confederazione italiana dei dirigenti e delle alte professionalità ritiene che le misure di riforma pensioni da inserire nella Legge di bilancio debbano “ispirarsi al generale principio dell’equità, e conformarsi all’obiettivo di ridurre la rigidità delle regole per accedere al pensionamento; regole che vengono ad essere confliggenti con un mercato del lavoro che invece chiede maggiore flessibilità”. Dunque per il Presidente della Cida, Mario Mantovani, vanno valutate positivamente la proroga dell’Ape social, di Opzione donna e il recupero dell’Ape aziendale, come pure altre misure di cui si è discusso al tavolo di confronto tra Governo e sindacati mercoledì, in particolare quella relativa alla sterilizzazione degli effetti negativi del calo del Pil sui montanti contributivi.

LA RICHIESTA PER I GIOVANI

Per Mantovani, dato che “i giovani non hanno la certezza di retribuzioni continuative e dinamiche come le generazioni precedenti”, “per rendere il sistema pensionistico pubblico sostenibile nel tempo occorre in prospettiva renderlo più leggero rivedendo in riduzione progressiva anche le aliquote contributive, lasciando maggiore spazio alla previdenza complementare basata sul sistema a capitalizzazione”. Secondo il Presidente della Cida, quindi, “sarebbe utile alzare il limite della deducibilità fiscale degli investimenti in previdenza complementare, da anni fermo ad un ‘tetto’ di poco superiore ai 5mila euro”. Inoltre, bisognerebbe affrontare “l’annosa questione della separazione fra assistenza e previdenza”.