LA SENTENZA UTILE PER I PRECOCI

Come spiega Il Sole 24 Ore, “anche i lavoratori licenziati per superamento del periodo di comporto, che abbiano fruito integralmente della Naspi e trascorso almeno tre mesi in status di inoccupazione, hanno diritto ad accedere alla pensione per i lavoratori precoci, se possiedono i requisiti anagrafici e contributivi”. A stabilirlo è una sentenza del Tribunale di Bergamo del mese scorso che “ha dato ragione al lavoratore che si era visto rigettare la domanda di certificazione dei requisiti per il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi” perché il licenziamento per periodo di comporto non sarebbe secondo la sede territoriale dell’Inps rientrato nelle fattispecie previste dalla norma introdotta tra le misure di riforma pensioni associate all’Ape social. Secondo i giudici, quindi, “anche il superamento del comporto è un tipo di licenziamento, utile dunque al requisito soggettivo per la pensione dei lavoratori precoci”. Una sentenza che potrebbe rappresentare un precedente importante per altri lavoratori.



BONOMI: PREVIDENZA DA REIMPOSTARE

Il Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, a detto di essere “molto preoccupato per la sostenibilità sociale”, perché a pagare il conto della crisi sono soprattutto “giovani, donne e famiglie a minor reddito”. Secondo quanto riporta Teleborsa, Bonomi, intervenendo al Sustainable Economy Forum, evento promosso da San Patrignano e Confindustria, ha anche parlato di riforma pensioni, spiegando di ritenere necessaria una “reimpostazione della previdenza perché la nostra spesa pubblica sociale è sì nella media europea ma paurosamente sbilanciata a favore delle pensioni”. Dal suo punto di vista, “il problema diventa allora quella di mantenere a lavoro le coorti più anziane, magari cambiandone le mansioni e volgendole alla formazione dei neoaddetti”. Parole che richiamano la richiesta del vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe, di potenziare il contratto di espansione, rendendolo fruibile anche alle aziende sopra i 50 dipendenti e che sembrano orientate a richiedere uno strumento come la staffetta generazionale piuttosto che una generica flessibilità pensionistica.



RIFORMA PENSIONI, LE DONNE PIÙ COLPITE DALLA LEGGE FORNERO

Il Tempo segnala che “sono le donne italiane le più colpite dalle riforme pensionistiche introdotte dal duo Monti-Fornero”. “A dirlo è il Civ, il Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, secondo il quale le scelte fatte in nome dei risparmi hanno generato nuove disuguaglianze di genere”. Il quotidiano romano elenca alcuni dati: “Dal 2012 al 2019 vi è stato un salto di età per l’uscita di ben 5 anni per le lavoratrici dipendenti private, di 3,4 anni per le lavoratrici autonome e di un anno per le lavoratrici dipendenti dei settori pubblici (per le quali l’età era stata aumentata in precedenza da 60 a 66 anni). Le conseguenze sono state care proprio per il sesso femminile. Per quelle nate nel 1952 l’accesso alla pensione di vecchiaia si è trasformato in una corsa ad ostacoli”. In particolare, dal 2012 al 2019 nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti “sono state liquidate 422.195 pensioni di vecchiaia, di cui 206.921 in favore delle donne, e 215.274 in favore degli uomini, con un rapporto di 0,8 a 1 che costituisce un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti il 2012”.



IL GOVERNO GUARDA AL MODELLO TEDESCO?

Secondo quanto riporta investireoggi.it, “nessuno lo dice, ma per la riforma pensioni Draghi strizza l’occhio al modello tedesco”. In Germania è possibile accedere alla quiescenza in anticipo, “ma non prima dei 63 anni, e chi lo fa perde lo 0,3% della propria pensione per ogni mese: in un anno la percentuale sale al 3,6%. I nati prima del 1964 accedono alla pensione piena con 35 anni di contributi e 65 anni di età”. In buona sostanza, quindi, la riforma pensioni in Italia sarà “probabilmente improntata su tale modello penalizzante. In pratica si potrà lasciare il lavoro qualche anno prima, ma solo se si è disposti a subire una decurtazione della pensione”. Intanto Nunzia Catalfo, intervistata dal Fatto Quotidiano, evidenzia che in tema di riforma pensioni “un’apposita commissione aveva valutato diversi interventi”. Secondo l’ex ministra del Lavoro, “in linea generale serve ridurre l’enorme scalone che si produrrà con la fine di Quota 100 o sarà traumatico”. Vedremo se si sceglierà di mettere in campo una flessibilità pensionistica con penalizzazioni o meno.

RIFORMA PENSIONI, I CONTEGGI SUL CONTRATTO DI ESPANSIONE

Tra le misure di riforma pensioni introdotte con la Legge di bilancio 2021 c’è anche l’estensione del contratto di espansione anche alle aziende con più di 250 dipendenti, da poco effettivamente utilizzabile a seguito dell’emanazione da parte dell’Inps di una circolare. Come spiega il sito di Ipsoa, nel documento viene spiegato che “per il calcolo del numero di lavoratori bisognerà considerare quelli occupati mediamente nel semestre precedente la data di sottoscrizione del contratto di espansione considerando i lavoratori di qualunque qualifica (lavoranti a domicilio, dirigenti, ecc.) e qualunque tipologia contrattuale. Per le aziende di nuova costituzione il requisito, analogamente ai casi di trasferimento di azienda, si determinerà in relazione ai mesi di attività, se inferiori al semestre”.

LE INDICAZIONI DELLA CIRCOLARE INPS

Nella circolare viene anche specificato che “qualora il contratto di espansione sia stipulato da aziende di ridotte dimensioni (è la possibilità data alle piccole imprese per il 2021) che si aggregano in modo stabile, è necessario che il contratto di espansione precisi in dettaglio la composizione delle singole imprese costituenti il gruppo o la suddetta aggregazione. Il requisito occupazionale è valutato considerando il numero complessivo di lavoratori in forza a ogni singola azienda. Il legame stabile tra le imprese deve trovare origine da accordi contrattuali tra le stesse aziende stipulati in data antecedente alla sottoscrizione del contratto di espansione e deve mantenere gli effetti per l’intera durata del medesimo contratto”.