RIFORMA PENSIONI. La frattura tra Cgil, Cisl e Uil che si era già manifestata alla fine dello scorso anno in occasione dello sciopero generale del 16 dicembre, quando la Cisl si era sfilata dal manifestare e che è stata accentuata in occasione del voto in Parlamento sull’invio delle armi in sostegno dell’Ucraina nel conflitto con la Russia, dove la Cisl ha avuto un atteggiamento di totale condivisione con il Governo e la Cgil e la Uil erano invece molto più critiche, si è ulteriormente acutizzata in questa primavera.



Formalmente i tre maggiori sindacati italiani sono ancora uniti ma le tensioni sono al livello di guardia. Del resto, le divergenze di vedute tra i confederali sono difficili da negare sia sul salario minimo che sulla guerra in Ucraina fino al giudizio sull’esecutivo, ma adesso siamo arrivati anche ai dispetti.

In occasione del Congresso della Cisl aprendo la kermesse Luigi Sbarra affermava che “l’unità tra sindacati non è un feticcio fine a se stesso” e Landini e Bombardieri l’hanno subito preso in parola non presentandosi il giorno successivo a una tavola rotonda, motivando il tutto con motivi personali e mandando in loro vece due funzionari di caratura inferiore. Lo sgarbo è stato notato immediatamente anche perché la tavola rotonda precedeva l’intervento clou della giornata, quello di Mario Draghi, che infatti, durante il suo discorso, ha evidenziato l’assenza dei leader confederali.



Queste “incomprensioni” stanno determinando un grosso problema nella difficilissima partita che si sta giocando in questi mesi per arrivare a varare una nuova riforma previdenziale a partire dal 1° gennaio 2023.

Su questo argomento, in pratica, è partita la campagna elettorale e subito la Lega e in particolare Salvini ha immediatamente conquistato la scena dapprima invitando Cgil, Cisl, Uil e Ugl a una riunione per conoscere le richieste sindacali sull’argomento previdenziale, anticipando l’esecutivo, e poi rilanciando immediatamente Quota 41 come cavallo di battaglia, come lo era stato in passato Quota 100, per mettere finalmente, definitivamente nel cassetto, l’odiatissima legge Fornero.



Intendiamoci, che un partito politico si muova a sei mesi dalla fine di Quota 102, Ape Sociale e Opzione Donna e convochi le organizzazioni sindacali è assolutamente buona cosa, ma quello che sta succedendo rischia, invece, di allontanare il varo e l’approvazione di una buona, equa e strutturale legge previdenziale di cui i cittadini italiani hanno assoluto bisogno.

L’asse che si sta creando tra Salvini e la Cisl a sostegno di Quota 41, senza spiegare, però esattamente l’attuazione di questo istituto e senza parlare di tutte le altre problematiche che vanno affrontate in un’ottica generale di riforma previdenziale come, per esempio, la flessibilità in uscita a partire dai 62 anni, l’istituzione di una pensione di garanzia per i giovani, per chi svolge il lavoro di cura, il riscatto agevolato della laurea e l’implementazione della previdenza complementare rischia, soltanto, di creare confusione agli italiani e di irrigidire sia i partiti che le organizzazioni sindacali.

Infatti, subito il segretario confederale della Cgil Ghiselli ha affermato che la proposta di legge della Lega prevede sì l’uscita con 41 anni di contributi, ma effettuando il calcolo solo col contributivo e una conseguente forte penalizzazione degli assegni previdenziali. E lo stesso ministro del Lavoro Orlando interpellato sulle dichiarazioni di Salvini che affermava che la Lega avrebbe fatto le barricate nel caso di innalzamento dell’età pensionabile ha risposto con un inequivocabile: “Salvini sta sempre sulle barricate, sarebbe meglio che scendesse”.

Questo solito clima di affermazioni, dichiarazioni, mezze frasi, proclami, interventi presso i talk show non favorisce la soluzione di un problema che assilla milioni di italiani, non è rispettoso nei confronti dei cittadini e non è degno di un Paese civile e responsabile. Bisogna che il Governo prenda in mano la situazione, convochi immediatamente le parti sociali, e tutti insieme si trovi in poche settimane una soluzione a un problema che si può risolvere. Le fughe in avanti non servono, ma, invece, bisogna sfruttare i due elementi che caratterizzano questo momento: la sospensione del Patto di stabilità anche per il 2023 e il fatto che all’attualità al Governo siedono praticamente tutti i partiti dell’arco parlamentare a eccezione di Fratelli d’Italia.

Non sfruttare queste opportunità sarebbe da sciocchi e lascerebbe aperti scenari non prevedibili.

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