Riforma pensioni, da Quota 100 a Quota 92. I maggiorenti del Governo giallo-rosso, a partire dal nuovo ministro dell’Economia Gualtieri, sin dall’inizio del loro mandato hanno assicurato il prosieguo dell’operazione di pensionamento anticipato con i requisiti di 62 anni di età e 38 anni di contribuzione (la quota 100) sino al suo esaurimento previsto al 31 dicembre del 2021. Non sono particolarmente convinti che la misura sia giusta. Temono semplicemente che il solo fatto di annunciare una possibile interruzione anticipata del provvedimento possa comportare una corsa a presentare nuove domande di pensionamento da parte delle 130.000 persone che risultano aver maturato il requisito, ma che hanno rinviato la decisione di utilizzare tale opportunità. Un’eventualità che vanificherebbe una parte dei risparmi già quantificati per far fronte ai mancati introiti derivanti dal blocco degli aumenti dell’Iva.



Non solo, il superamento di quota 100 comporterebbe una riproposizione del fenomeno degli esodati derivanti dagli accordi aziendali, previsti nel dispositivo normativo. Accordi che sono finalizzati ad anticipare la fuoriuscita di personale in esubero retribuito con un assegno straordinario a carico delle aziende sino alla maturazione del requisito di pensionamento anticipato.



Tuttavia sullo sfondo rimane un problema di non poco conto. Dal 2022, esaurita la fase sperimentale di quota 100, i requisiti per la pensione anticipata torneranno a essere quelli dei 42 anni e 10 mesi (41 anni e 10 mesi per le donne) di contribuzione maturata, con un probabile incremento legato all’allungamento della età media di vita attesa. In buona sostanza si realizzerà di fatto un superamento della pensione di vecchiaia anticipata, se si considera il balzo di 5 anni che verrà prodotto per coloro che matureranno nel futuro i 38 anni di contributi. Per gran parte di loro l’eta di pensionamento anticipato finirà per coincidere con quella della pensione di vecchiaia attualmente ancorata ai 67 anni di età.



Sopravviveranno certamente le condizioni di anticiparla per i lavoratori precoci (41 anni di contributi) a condizione che tutti questi lavoratori siano disoccupati involontari da almeno sei mesi, ovvero nel triennio precedente alla pensione di vecchiaia nel caso dell’Ape social. E per i lavoratori che hanno svolto lavori usuranti che potranno usufruire di periodi di abbuono. Ma sostanzialmente verrà superata ogni forma di flessibilità dell’età pensionabile.

In tutto questo si manifesta l’assurdità e l’iniquità del provvedimento quota 100, alla scadenza del quale si riproporrà quanto già avvenuto nell’occasione della riforma Fornero. Alcuni esponenti politici il problema se lo stanno ponendo, verificando la possibilità di rafforzare le misure dell’Ape social per chi rimane involontariamente disoccupato e per allargare la platea dei lavori usuranti.

Il responsabile delle politiche del lavoro del Pd Nannicini azzarda la possibilità di introdurre una quota 92 (62 anni di età e 30 di contributi minimi) per tutti coloro che sono disoccupati involontari, disabili o vincolati alla necessità di assistere familiari non autosufficienti, o ancora lavoratori gravosi.

Il nuovo provvedimento dovrebbe riassorbire tutte le forme precedentemente richiamate di pensionamento anticipato e di Opzione donna, alle condizioni di optare per il sistema contributivo per il calcolo della pensione, e si propone di introdurre nella riforma anche una non meglio precisata pensione di garanzia per le giovani generazioni. La proposta ha certamente il merito di offrire una risposta strutturale alle criticità, ma con un potenziale di spesa aggiuntiva decisamente incompatibile con le attuali e future condizioni della finanza pubblica. D’altro canto le organizzazioni sindacali, naturalmente reticenti a condividere un superamento immediato di quota 100, nell’ambito del confronto con il Governo hanno messo sul tappeto l’esigenza di individuare una soluzione strutturale per le pensioni di vecchiaia anticipata (41 anni di contributi?), l’allargamento della platea dei percettori della 14 mensilità per le pensioni basse e il ripristino della rivalutazione delle pensioni alle condizioni previgenti al blocco disposto dal precedente Governo.

Proposte che, tenendo conto del rilevante invecchiamento della popolazione attiva e dell’indebolimento in corso del rapporto tra il numero dei contribuenti e quello dei pensionati, spingerebbero a ulteriori rialzi della spesa pensionistica. Un esito che si produrrà in ogni caso, qualsiasi ipotesi venga assunta: quella conservativa di quota 100, così come per quelle di modifica che sono in campo.

Purtroppo sta venendo meno la volontà di imprimere un cambiamento significativo delle politiche del Welfare che possono mutare solo se si vogliono affrontare gli effetti del declino demografico e dell’invecchiamento della popolazione, con un deciso sostegno all’incremento dei tassi di occupazione e di natalità, dove l’Italia continua a svolgere il ruolo di fanalino di coda tra i paesi aderenti all’Unione europea.