FORNERO: I GIOVANI HANNO CAPITO LA RIFORMA PENSIONI
Elsa Fornero, ospite della trasmissione L’aria che tira, è stata chiamata a commentare le manifestazione delle “sardine”. “Ben prima che questo movimento si manifestasse anche in maniera così potente, ho incontrato moltissimi giovani, perché i giovani si riuniscono in associazioni, sono spesso desiderosi di comprendere e rifiutano la negazione della complessità che oggi è corrente in politica, per cui tutto è facile. Mi piace un atteggiamento positivo che non condanna tutto e tutti, ma che cerca di dare un’analisi del Paese dalla quale ci si può riscattare”, ha detto l’ex ministra del Lavoro, secondo cui “i giovani mostrano di aver capito la necessità di riforme. Il che non vuol dire che tutte le riforme che si fanno sono necessariamente giuste, ma le riforme vanno fatte e l’idea di cancellarle soltanto in nome del buon tempo antico è sbagliata. Questo i giovani lo capiscono e hanno anche capito che la riforma delle pensioni era comunque un tentativo di riequilibrare il bilanciamento economico tra generazioni, fortemente sbilanciato proprio a scapito dei giovani”.
OCSE: PER I GIOVANI PENSIONE A 71 ANNI
Nel suo rapporto Pensions at a Glance 2019, l’Ocse non solo consiglia all’Italia una marcia indietro in tema di riforma pensioni, alzando l’età di ritiro dal lavoro, ma segnala che “chi ha iniziato a lavorare in Italia a 22 anni nel 2018 andrà in pensione di anzianità a 71 anni, contro i 74 anni della Danimarca e i 71 dell’Olanda e dell’Estonia. Nei Paesi Ocse in media si andrà in pensione a 66,1 anni”. Secondo quanto riporta l’Agi, “il tasso di sostituzione, cioè la percentuale di stipendio medio accumulato nel corso della vita lavorativa che va a formare la pensione, nei Paesi Ocse è attualmente del 59%, mentre in Italia sale al 92% per chi va in pensione a 71 anni”. L’organizzazione internazionale segnala anche “come il part time e il lavoro a tempo, che di ‘solito implicano bassi guadagni’ e che in Italia sono più diffuse che nel resto dei paesi Ocse,rappresentino un pericolo per il sistema previdenziale italiano, poiché rischiano di produrre entrate pensionistiche ‘più basse’”.
OCSE: ITALIA ALZI ETÀ PENSIONABILE
Dall’Ocse arrivano nuove indicazioni all’Italia che vanno contro alle ultime misure di riforma pensioni. L’organizzazione internazionale ritiene infatti che il nostro Paese dovrebbe “dare priorità all’aumento dell’effettiva età di ritiro”, oltre che “limitare i sussidi ai pensionamenti anticipati” e “attuare adeguatamente il collegamento dell’età di ritiro alla speranza di vita”. Secondo la sintesi dal rapporto Pensions at a Glance 2019 curata da Askanews, l’Ocse ha evidenziato che se in Italia “nel 2018 l’età standard di pensionamento, a 67 anni, era di 3 anni sopra la media dell’area Ocse, successivamente con il meccanismo Quota 100 sono stati in parte rimossi alcuni elementi delle precedenti riforme, fino al 2021. Mentre quest’anno non è stato attuato l’impegno a aggiornare il collegamento dell’età di pensionamento con la speranza di vita”. L’Italia spende inoltre il 16% del Pil in pensioni: si tratta del secondo livello più alto tra tutti i paesi Ocse.
LA SODDISFAZIONE FILP-ANPPE
Sembra che qualcosa si muova per arrivare a un allineamento tra gli stipendi e le pensioni dei Vigili del Fuoco e quelli degli altri corpi dello Stato. In una nota riportata da larampa.it, infatti, Fernando Cordella, Presidente di Filp-Anppe Vigili del Fuoco, esprime soddisfazione per il via libera in commissione Affari costituzionali e Lavoro della Camera “a una risoluzione unitaria che impegna il Governo su quattro punti: compenso salariale e pensionistico, maggiore tutela e garanzia degli infortuni e delle malattie professionali, potenziamento organici e dotazioni e mezzi”. Da tempo, anche altri sindacati dei Vigili del fuoco, evidenziavano la necessità di porre rimedio a una disparità di trattamento, rimasta intatta anche con gli ultimi provvedimenti di riforma pensioni. Cordella spiega che tocca ora al Governo, “già con la manovra di bilancio in esame al Senato, destinare le giuste risorse economiche” per valorizzare il personale del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
LE RIFORME MANCATE PRIMA DELLA LEGGE FORNERO
In un articolo pubblicato su Italia Oggi, Domenico Cacopardo analizza la situazione del nostro Paese evidenziando che “nel panorama globale ormai non esistiamo. Abbiamo avuto una classe dirigente che ha perso il drive mostrato nel dopoguerra e sino agli anni 80 (vituperati per il predominio dell’unica forza politica riformista che abbia avuto ruolo in Italia, il socialismo democratico), sedendosi sul passato e sulla mancanza di creatività. Intendiamoci, da questo punto di vista, non tutti ‘i gatti erano bigi’. Per l’esperienza personale consumatavi, Massimo D’Alema, assumendo la direzione del governo, effettuò un generoso tentativo di rimettere in moto la macchina riformista, di guardare cioè al futuro. Gli fu impedito dall’ottusità politica di Sergio Cofferati che schierò il sindacato contro le riforme del mercato del lavoro e delle pensioni alle quali si era lavorato a Palazzo Chigi (e, quando ci lamentiamo della Fornero, dobbiamo ricordare le tante occasioni perse in anni lontani per riformare le pensioni a costi ben minori e ben più sostenibili)”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI DAMIANO
In un editoriale pubblicato sul sito di Ipsoa, Cesare Damiano torna a parlare della riforma pensioni con Quota 100, ricordando che si tratta di “un intervento congiunturale che dura 3 anni, fino al 2021. A dicembre di quell’anno la sua vigenza terminerà”. C’è quindi da chiedersi cosa accadrà a quel punto. “Torna integralmente in vigore la legge Fornero. Il requisito pensionistico non sarà rappresentato dai 62 anni accompagnati da 38 di contribuzione. Si tornerà, invece, ai 67 anni previsti da quella legislazione che non è stata né riformata, né superata dai promotori di quota 100”. Per l’ex ministro del Lavoro, quindi, Quota 100 ha dei difetti evidenti, compreso il fatto di avvantaggiare quanti hanno cominciato ad avere una occupazione“relativamente giovani o non sono mai stati licenziati o sono passati, senza soluzione di continuità, da un lavoro ad un altro”.
IL RISCHIO DI NUOVI ESODATI
Tuttavia, “ritengo che, per un minimo di ragionevolezza, debba essere mantenuta fino alla fine del suo triennio di vigenza”. Anche perché “troppo spesso ci si dimentica che le persone non sono numeri, che hanno nome e cognome e una vita. Un lavoratore si mette d’accordo con il suo imprenditore, prevede, sulla base della legge, di poter andare in pensione, magari dopo 3 mesi o dopo un anno, si licenzia, negozia una buona uscita, arriva una nuova legge che cancella quella possibilità, e quella persona si trova, di punto in bianco disoccupato e ‘nuovo povero’. La storia degli esodati non la si deve rivedere”, evidenzia Damiano concludendo il suo editoriale.