RIFORMA PENSIONI, IL DILEMMA DOPO LA CRISI DI GOVERNO

In un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore viene ricordato che con l’apertura della crisi di Governo sancita ieri dal ritiro della delegazione di Italia Viva dal Governo, un dossier spinoso che resta in bilico è quello della riforma pensioni, “dopo le proroghe decise l’anno scorso per Ape sociale e Opzione donna”. Soprattutto perché “se la riforma dell’Irpef o altri grandi interventi strutturali possono essere rinviati, sul dopo ‘Quota 100’ una risposta va data entro l’anno, per evitare che chi maturerà i requisiti minimi di 62 anni più 38 di contributi a gennaio del 2022 debba aspettare cinque anni in più per la pensione rispetto a chi, quei requisiti, li maturi entro il dicembre di quest’anno”. Il quotidiano di Confindustria evidenzia che la diminuzione del numero di accessi a Quota 100 durante l’ultimo anno non toglie il problema e “scegliere una semplice proroga sarà difficile”, perché creerebbe problemi con Bruxelles che ha più volte evidenziato la necessità di ridurre la spesa pensionistica, mentre rinviare la misura sarebbe politicamente rischioso in vista di un ritorno alle urne.



LA BATTAGLIA SUL LAVORO DI CURA DELLE DONNE

In un post sulla pagina Facebook del Comitato Opzione donna social Orietta Armiliato ricorda una delle rivendicazioni in tema di riforma pensioni che il Cods ha promosso e che è stata in larga misura fatta anche propria dalle organizzazioni sindacali: il riconoscimento del lavoro di cura delle donne ai fini previdenziali. “Ci vogliamo una buona volta sganciare dal giogo che ci hanno messo nel tempo funzionale solo a colmare le carenze di un sistema bacato, di un welfare inesistente che non ha costruito asili nido, baby parking, parità salariale e diritti per le donne equiparati ed equiparabili a quelli degli uomini?”, scrive Armiliato ricordando quanto a volte siano le stesse donne a non essere consapevoli del fatto che il lavoro ordinario di cura domestico da loro svolto non può essere dato per scontato e che spesso rappresenta un ostacolo a raggiungere i requisiti minimi per il pensionamento. L’amministratrice del Cods ricorda quindi che le donne sono in credito e devono essere le prime a lottare per veder riconosciuto un loro diritto.

NANNICINI (PD) CRITICA CONTE

Dopo la rottura del Governo sancita dalle dimissioni di Italia Viva, il Partito Democratico si interroga su quale strada prendere per i prossimi mesi: dalla riforma pensioni ai tantissimi nodi ancora scoperti, il Paese ha bisogno di un Governo stabile che possa prendere decisioni importanti nel 2021 ma secondo Tommaso Nannicini (l’esponente più liberale e renziano rimasto all’interno dei Dem) bisognerebbe ritornare a fare politica seria, possibilmente con un altro Presidente del Consiglio. In un articolo apparso sul suo sito personale, Nannicini sottolinea «meno hashtag, più politica» e si sofferma sugli errori di Conte: «ha fatto debiti per quota 100, quando era sbagliato farli, e poi ha fatto debiti per la pandemia, quando era giusto farli. Ha guidato il governo più anti-europeista della storia repubblicana e poi ha partecipato da protagonista a una stagione che può darci un’Europa politica, salvo non usare il Mes per ragioni ideologiche più che di merito. Ha bloccato le navi delle Ong con Salvini, salvo poi cambiare politica (ahimè, solo in parte) e scaricare le colpe di quella precedente solo su Salvini».

LE TIPOLOGIE DI PENSIONI DI INABILITÀ

In un articolo su orizzontescuola.it, Patrizia Del Pidio, rispondendo a un quesito di un lettore, elenca i casi in cui è possibile nel pubblico impiego richiedere la pensione di inabilità. Il primo caso è quello dell’inabilità assoluta e permanente alla mansione, che deve essere accertata dalla Asl e richiede 15 anni di servizio, di cui 12 effettivi, che diventano 20 per sanità ed enti locali, oltre che la cessazione del rapporti di lavoro. C’è poi l’inabilità assoluta e permanente a proficuo lavoro, che è un’invalidità parziale accertata dalla Asl per chi non può svolgere attività lavorativa continua (e presenta gli stessi requisiti elencati prima). Infine, c’è l’inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa, che richiede almeno 5 anni di contributi versati di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la presentazione della domanda. Ovviamente con accertamento sanitario. In quest’ultimo caso, a differenza degli altri due, è impossibile il ricollocamento lavorativo dopo il pensionamento.

LA SCADENZA PER I VERSAMENTI CONTRIBUTIVI

Con un messaggio diffuso ieri, l’Inps, come spiega pensionioggi.it, ha ricordato che c’è tempo fino al prossimo 31 gennaio “per il versamento della prima rata delle ventiquattro rate residue per i contribuenti che hanno sospeso i versamenti contributivi durante la prima fase di emergenza epidemiologica da covid-19”. Dunque, “il termine del 16 gennaio 2021, originariamente previsto, è da intendersi spostato all’ultimo giorno del corrente mese stante il perdurare dell’emergenza sanitaria in corso”. Intanto Luigi Di Maio, prima ancora dell’avvio ufficiale della crisi di Governo sancito dal ritiro della delegazione di Italia Viva dal Governo, ha evidenziato che “l’Italia deve ripartire”, grazie anche alle risorse del Recovery fund e al Recovery plan che è stato approvato dal Governo martedì. “Parliamo di risorse per fronteggiare la pandemia, di aiuti per chi fatica dalla mattina alla sera, di pensioni, di anziani, parliamo di chi è stato colpito ingiustamente dalla crisi come imprese e lavoratori”, ha scritto su Facebook il ministro degli Esteri.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI DAMIANO

In un’intervista a puntosicuro.it, Cesare Damiano torna a parlare della sua proposta di riforma pensioni basata su una flessibilità che privilegi “coloro che svolgono lavori usuranti, gravosi, esposti al rischio pandemie o che sono disoccupati o a rischio disoccupazione. La soglia di partenza può essere quella dei 63 anni, già adottata con l’Ape Sociale, con un range di contributi compreso tra i 30 e i 36 anni. Vanno privilegiati nel senso che queste categorie a rischio non debbono subire penalizzazioni: per gli altri si può prevedere un 2-3% di penalizzazione per ogni anno di anticipo”. Per l’ex ministro del Lavoro, una proposta del genere “può contribuire a battere la resistenza di coloro che si oppongono a questa riforma per via dei costi da sostenere: sono gli strenui difensori della legge Monti-Fornero che temono ancora i diktat europei”.

LA FLESSIBILITÀ CON PENALIZZAZIONI (MA NON PER TUTTI)

Per il consigliere dell’Inail, una flessibilità di questo tipo può “aiutare il collocamento in pensione dei lavoratori più anziani senza dover ricorrere, in questa situazione di grave crisi economica, agli ammortizzatori sociali o, peggio ancora, alle indennità di licenziamento. In questo modo si interviene sull’invecchiamento della forza lavoro e sul ricambio generazionale e si aiutano le imprese e i lavoratori. Si tratta di una misura estremamente moderna, perché rendere più flessibile il sistema previdenziale è allineato al progressivo ingresso delle giovani generazioni nel metodo di calcolo contributivo, che supera il precedente modello retributivo”.