IL GAP CHE INCIDE SULL’IMPORTO DEGLI ASSEGNI

In un futuro non molto lontano la differenza tra l’ultimo reddito percepito come lavoratore e il primo assegno della pensione è destinata ad aumentare. Come spiega Loredana Ferrara su consulpress.eu, infatti, il gap previdenziale nel 2030 dovrebbe attestarsi al 30% circa, mentre nel 2040 la differenza dovrebbe attestarsi al 37%, con punte intorno al 50% per i lavoratori autonomi. “La prospettiva futura, considerando anche la tendenza degli ultimi anni, è dunque quella di un aumento progressivo del gap, che si tradurrà in una proporzionale erosione erosione della capacità di mantenere il proprio tenore di vita in pensione”, spiega la consulente finanziaria, che ricorda quindi l’importanza della previdenza complementare, che offre anche la possibilità di ricorrere alla Rendita integrativa temporanea anticipata. Uno strumento utile, nel momento in cui l’età pensionabile pare destinata a crescere nel tempo, potendo costituire una sorta di “ponte tra l’ultimo reddito e la prima pensione percepita” capace di garantire un’uscita anticipata dal mondo del lavoro.



LE USCITE INCENTIVATE ESCLUSE DAL DIVIETO DI LICENZIAMENTO

Il Sole 24 Ore ricorda che il Decreto agosto ha previsto delle eccezioni al divieto di licenziamento, tra cui il caso di uscite incentivate a seguito di un accordo collettivo aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Ai lavoratori che decidessero di aderire a tale accordo spetterebbe anche la Naspi. Va da sé che sarebbero più propensi ad aderire a tali accordi quei lavoratori prossimi alla pensione. Intanto, intervistato da Libero, il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, spiega l’importanza di rivoluzionare il mondo del lavoro in occasione del rinnovo di molti contratti collettivi nazionali in scadenza o già scaduti. “I vecchi contratti non stanno più in piedi, pensi alla necessità di potenziare previdenza e assistenza integrativa, formazione permanente e assegno di ricollocazione”, ha evidenziato l’ex numero uno di Assolombarda. Il quale in passato aveva in diverse occasioni criticato sia la riforma pensioni con Quota 100 che il Reddito di cittadinanza.



TAGLIO CUNEO FISCALE SU PENSIONI: LA PROPOSTA DELLO SPI CGIL

Il segretario provinciale Spi Cgil di Perugia, Matteo Bravi è convinto che sulle pensioni vi siano ancora troppe tasse che vanno necessariamente tagliate già dalla prossima Manovra di Bilancio, o quantomeno nella prossima riforma pensionistica. «SPI/CGIL, FNP/CISL e UILP/UIL – hanno chiesto al Governo Conte l’abbassamento delle tasse sulle pensioni (siamo il paese d’Europa con il più alto prelievo fiscale sulle pensioni) e il ripensamento del nostro sistema fiscale. Il problema di un prelievo fiscale iniquo sulle pensioni è un problema di  carattere nazionale,ma nei nostri territori assume una dimensione ancora piu’ rilevante. Nonostante il fatto che in provincia di Perugia e nel territorio di Foligno  le pensioni siano del 7% piu’ basse delle già povere pensioni a livello nazione,  circa il 40% delle entrate complessive IRPEF vengono dalle pensioni», spiega il segretario provinciale. Non solo, chiosa Bravi, «Se da una parte c’è l’esigenza di abbassare le tasse sulle pensioni emerge con forza anche il tema delle elusione ed evasione fiscale, tema che va affrontato con forza e con urgenza!SE consideriamo che il gettito derivante dalle pensioni e versato direttamente nelle casse dello Stato ammonta a circa 122 milioni di euro in un anno nel nostro territorio. È evidente che si tratta di somme ingenti e trattenute, spesso su pensioni basse». (agg. di Niccolò Magnani)



CATALFO PUNTA SU STAFFETTA GENERAZIONALE

Secondo quanto riporta Il Corriere della Sera, Nunzia Catalfo starebbe lavorando a un piano in 4 punti per cercare di aumentare l’occupazione, ma che potrebbe portare a un nuovo scontro con Confindustria. Il primo dei quattro capitoli di questo piano, scrive Enrico Marro, riguarderebbe le Politiche attive e la formazione per cercare di aiutare quanti perderanno il posto a riqualificarsi per trovarne un altro in nuovi settori legati in particolare al digitale e all’economia green. C’è poi la riforma degli ammortizzatori sociali, di modo che venga potenziata la partecipazione dei lavoratori coinvolti ad attività di ricollocamento. Ci sarebbero poi incentivi per l’occupazione femminile e per ridurre il gap retributivo di genere ancora esistente. Infine, c’è l’idea di stimolare la staffetta generazionale nel mercato del lavoro, obiettivo che si lega ai temi di riforma pensioni, ma che non sembra essere stato raggiunto nemmeno con Quota 100. Secondo Marro quest’ultimo capitolo, insieme alla possibilità di ridurre l’orario di lavoro a parità di salario, potrebbero portare a tensioni con Confindustria.

L’AUMENTO DI SEI SCATTI DA FAR VALERE NEL COMPARTO SICUREZZA

Sul sito poliziapenitenziaria.it, si legge che “il Consiglio di Stato, mutando orientamento, ha riconosciuto il diritto al computo nel calcolo della buonuscita dei 6 scatti stipendiali per tutto il personale del comparto difesa, sicurezza e qualifiche dirigenziali di ruolo del Ministero dell’Interno collocati in pensione a domanda, compiendo 55 anni di età congiuntamente a 35 anni contributivi”. C’è da ricordare che “all’atto della cessazione del servizio, infatti, a tutto il personale del comparto Difesa, Sicurezza e qualifiche dirigenziali prefettizie vengono attribuiti d’ufficio e senza oneri a carico dell’interessato, 6 aumenti periodici di stipendio, ciascuno del 2,50%, calcolati sull’ultimo stipendio percepito, che comporta quindi una rivalutazione del 15% della base pensionabile. Per coloro che sono collocati in pensione a domanda, l’aumento dei sei scatti avviene a titolo oneroso rateizzato sino al raggiungimento del limite di età previsto per il ruolo d’appartenenza”. Tuttavia, “è emerso che alcune sedi Inps non applicano l’aumento stipendiale dei sei scatti anche per coloro che sono cessati per riforma o per congedo equiparato a quello per limiti di età”.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI DAMIANO

Cesare Damiano non ha dubbi: “Se si vuole davvero andare oltre la Legge Fornero occorrerà una misura strutturale, non più congiunturale e limitata ad una platea troppo piccola come per Quota 100”. L’ex ministro del Lavoro, intervistato dal Mattino, ricorda in questo senso la proposta di riforma da lui presentata insieme ai colleghi di partito Gnecchi e Baretta nella scorsa legislatura, con l’obiettivo di introdurre una flessibilità pensionistica a 63 anni, che oggi rivedrebbe in parte, incorporandola con l’Ape sociale, facendo in modo che lavoratori usuranti, operanti nell’edilizia e più esposti alla pandemia possano andare in quiescenza con un’anzianità contributiva di 36 anni (e almeno 63 di età) senza penalizzazioni. Le quali sarebbero invece da applicare a tutti gli altri lavoratori.

LA PENALIZZAZIONE DEL 2%

Damiano aggiunge però che tale penalizzazione dovrebbe essere del 2%, “una quota decisamente bassa”. Per l’esponente dem è anche importante che venga abolito l’attuale vincolo sul futuro assegno pensionistico pari a 2,8 volte il minimo per consentire l’ingresso in quiescenza in modo che venga eliminato uno svantaggio per le giovani generazioni, le quali tra salari bassi, sistema contributivo pieno e discontinuità lavorativa potrebbero avere difficoltà a raggiungere tale soglia. Damiano evidenzia anche l’importanza di “smentire la bugia di Stato secondo cui la spesa pensionistica pesa per il 16% sul Pil italiano”, anche perché “in realtà 50 miliardi vengono ogni anno restituiti dai pensionati sotto forma di tasse”.