LE PAROLE DI PROIETTI

Ospite del programma Fuori TG, in onda su Rai 3, Domenico Proietti ha ricordato come la riforma pensioni targata Fornero sia stata “una gigante operazione di cassa, per tamponare una situazione di emergenza, fatta pagare prevalentemente al lavoro dipendente e ai pensionati”. Il Segretario confederale della Uil ha quindi spiegato che la proposta del sindacato è quella di “fare quello che avviene nella media europea. In Europa si va in pensione tra i 62 e i 63 anni”. Dal suo punto di vista occorre quindi “una flessibilità diffusa, che superi Quota 100, differenziando in base alle diverse tipologie di lavoro”. Proietti ha parlato anche delle “penalizzazioni che riguardano le donne” che andrebbero eliminate. “Bisogna riconoscere, ai fini della contribuzione, il lavoro di cura delle donne e la maternità”, ha detto, ricordando che tale istanza è stata presentata dai sindacati al Governo. Tra l’altro proprio al tema del gap di genere sarà dedicato il prossimo incontro tra esecutivo e parti sociali in programma il 13 marzo.



MISIANI E IL FUTURO DEI GIOVANI

Antonio Misiani è stato intervistato da formiche.net, che gli ha rivolto anche una domanda collegata al tema della riforma pensioni. “In Italia assistiamo a una sproporzione nella spesa pubblica per le pensioni e per l’istruzione. Sembra la storia di Crono che mangia i suoi figli. Come si può fare a invertire la rotta?”. Il viceministro dell’Economia ha risposto così: “Si identificano temi, si costruisce mobilitazione ed egemonia nella opinione pubblica. In passato tante scelte del nostro Paese sono state condizionate anche dalla debolezza della voce dei ragazzi nel dibattito pubblico e dalla forza organizzata delle generazioni più mature. Però questo non è un destino ineluttabile. Pensiamo al cambiamento climatico e a come si sia imposto nell’agenda politica, non è merito solo degli scienziati ma anche di tantissimi ragazzi che sono scesi in piazza in tutto il mondo. Quindi non è inevitabile che prevalgano gli interessi e i temi delle generazioni più mature, è un terreno contendibile di conflitto politico e bisogna organizzarsi”.



LE CARENZE TRA GLI INFERMIERI

L’emergenza sul fronte sanitario non riguarda solo la carenza di medici e dirigenti sanitari, ma anche di infermieri. Vita.it riporta le parole di Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi), che evidenzia la mancanza, sul territorio nazionale, di oltre 53.000 infermieri. Di certo una misura come la riforma pensioni con Quota 100 non ha aiutato a evitare queste carenze e ora servono assunzioni. “Di fronte a una carenza di tali dimensioni poi, richiamare in servizio i colleghi pensionati rappresenta si una risposta immediata, ma un placebo rispetto alla necessaria terapia d’urto: perché ne servirebbero ben di più di quelli ex pensionati o neolaureati per riportare gli organici a quel rapporto virtuoso che consentirebbe di essere in linea con le indicazioni internazionali”, aggiunge Mangiacavalli. Anche perché i pensionati possono essere richiamati in servizio per un tempo limitato e dunque il problema tornerebbe poi di nuovo alla luce.



GLI EFFETTI DI QUOTA 100 SULLA SANITÀ

In un articolo su Italia Oggi viene ricordato come la riforma pensioni con Quota 100 abbia impattato sul Sistema sanitario nazionale. Il Governo Conte-1, ricorda il quotidiano economico, non ha tagliato i fondi alla sanità, ma, secondo stime del sindacato dei medici Anaao-Assomed, con la possibilità di andare in quiescenza a 62 anni con 38 di contribuzione, è aumentato di 25.000 unità il numero di medici e dirigenti sanitari pensionandi fino al 2023. Cosa che ha portato poi alcune regioni a richiamare medici pensionati per poter sopperire alle carenze di organico. E in Lombardia, per far fronte all’emergeza coronavirus, “saranno richiamati in servizio anche medici e infermieri già in pensione, essendo accertato che non basta l’immissione nelle corsie ospedaliere dei giovani medici specializzandi, resa possibile dall’ultimo Milleproroghe”. Occorre però un intervento più strutturale, visto che l’Anaao segnala che “negli ospedali, per il blocco del turnover, mancano 8 mila specialisti, destinati a salire a 17 mila entro il 2025”.

IL PART-TIME E IL SISTEMA CONTRIBUTIVO

Dopo le misure di riforma pensioni del 1995 e del 2011, il sistema contributivo è divenuto ormai quello di riferimento per gli italiani non molto avanti con l’età. quifinanza.it ricorda che in questo senso è importante non dimenticare che conseguenze previdenziali può avere il lavoro part-time. “La retribuzione percepita con il part-time è ovviamente inferiore di quella che si percepirebbe per lo stesso lavoro con contratto full-time. Il che ha un ovvio impatto sull’importo della pensione, soprattutto per la parte calcolata con il sistema contributivo”. Solamente “nel settore privato i periodi di tempo svolti in part-time (orizzontale o verticale) vengono conteggiati al pari di quelli svolti in full-time a condizione che sia stato rispettato il minimale Inps per il lavoro dipendente (circa 205 euro settimanali)”. Considerando poi che al momento per accedere alla pensione di vecchiaia con il sistema contributivo occorre avere un assegno pari a una volta e mezzo quello sociale, il perdurare di un rapporto di lavoro part-time potrebbe dover allungare l’attesa della pensione fino ai 70 anni.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI GALASSO

Vincenzo Galasso è stato protagonista di una videointervista pubblicata sul sito del Sole 24 Ore relativa alla riforma pensioni. L’economista ha ricordato che alla fine del 2021 non ci sarà più Quota 100 e ci si potrà trovare di fronte a “un gradino di quasi 5 anni. Se prendiamo un signore che ha avuto, come dire, la fortuna di compiere 62 anni il 31 dicembre 2021 e che ha 38 anni di contributi, può prendere quota 100 e andare in pensione. Se invece il suo vicino di casa i 62 anni li compie il primo gennaio, ma ha comunque i suoi 38 anni di contributi, lui dovrà aspettare di avere o 67 anni di età oppure 42 anni e dieci mesi di contributi”. Anche per evitare questo gradino si sta già lavorando a predisporre una misura pensionistica e Galasso ha evidenziato che la cosiddetta Quota 41 è “chiaramente molto costosa per lo Stato, perché consentirebbe a molte persone di uscire presto e quindi avrebbe un grosso impatto sulle casse dello Stato”.

LA FLESSIBILITÀ CON RICALCOLO CONTRIBUTIVO

Un’altra ipotesi in campo è quella della flessibilità con ricalcolo contributivo degli assegni, che “ha un po’ questa caratteristica: nel lungo periodo il pensionato percepisce la stessa quantità totale di pensione, però ne percepisce un po’ di meno su più anni. Questo vuol dire che dal punto di vista individuale la somma di tutte le pensioni ricevute rimane la stessa, ma dal punto di vista del vincolo dello Stato vuol dire pagare un po’ di più oggi, quindi dover pagare un po’ più pensioni oggi. Queste pensioni poi ne pagheremo un po’ meno in futuro, quindi nell’arco di 20-25 anni, la spesa totale per lo Stato rimane la stessa”.