RIFORMA PENSIONI, GOVERNO PENSA A LEGGE DELEGA
Giungono notizie interessanti in tema di riforma pensioni attraverso le risposte fornite la scorsa settimana da Francesca Puglisi, sottosegretaria al Welfare, ad alcune interrogazioni parlamentari dei membri della commissione Lavoro della Camera. Come spiega pensionioggi.it, infatti, Puglisi ha spiegato che per la misura che dovrà sostituire Quota 100 a partire dal 2022 verrà introdotta nel sistema tramite “una legge delega i cui principi e criteri direttivi sono in fase di elaborazione”. L’obiettivo sarà quello di perseguire “la maggiore equità del sistema pensionistico, la flessibilità in uscita e una pensione di garanzia per i giovani”. Confermata l’intenzione di inserire nella prossima Legge di bilancio la proroga dell’Ape sociale e di Opzione donna, cercando di individuare anche una misura che contribuisca alla staffetta generazionale nel mercato del lavoro, potenziando magari il contratto di espansione. Come noto, Governo e sindacati torneranno ad affrontare il tema la prossima settimana in un nuovo confronto, dopo quello rinviato la settimana scorsa.
FORNERO “SPINGE” PER NUOVA APE SOCIAL
Intervenuta a L’Aria che Tira su La7, l’ex Ministra del Lavoro Elsa Fornero ha indicato le priorità per il tema pensioni in vista della nuova riforma dal 2021: «Questo anno ultimo di Quota 100 dovrebbe servire per preparare la transizione. C’è bisogno di ritornare su meccanismi come l’Ape Social che sono rivolti ai lavoratori in difficoltà e che riguardano non tanto il sistema pensionistico, ma riguardano gli interventi a favore delle persone in difficoltà e bisogna guardare sopratutto a loro». In merito alla possibilità che il Governo avanzi con la proposta di riforma pensioni Quota 102, la professoressa smentisce le ipotesi “positive” a riguardo: «Quota 102 indefinitamente non è necessariamente una buona idea, si può però pensare come passaggio per imprimere una certa gradualità.O si va – ha concluso la Fornero – in pensione con una certa età o con una pensione anticipata se si sono accumulati sufficienti contributi per non essere in povertà dopo. Molte delle pensioni povere dipendono dal fatto che sono state concesse a età relativamente giovane. Sto parlando di persone in buona Salute e con un lavoro. Non sto parlando di persone disoccupate in età anziana e che possono avere molta difficoltà e per le quali dovremmo attivare delle politiche attive vere».
L’EFFETTO COVID SUI CONTI DELL’INPS
L’effetto Covid si fa sentire anche sui conti dell’Inps. Il 1° ottobre, infatti, il Consiglio di indirizzo e vigilanza ha approvato l’assestamento al bilancio 2020, con una previsione di perdita finale di 26 miliardi di euro, contro i 6,4 precedentemente stimati. Oltre alle maggiori uscite dovute a cassa integrazioni e indennità, l’Inps deve fare i conti con un calo delle entrate contributive. I pensionati non hanno da temere, perché di fatto le pensioni sono garantite dallo Stato. Tuttavia il Civ fa presente che l’effetto della pandemia sul tessuto economico e sociale del Paese pone “il tema della sostenibilità e dell’equilibrio del rapporto tra assicurati (in leggero calo) e pensionati (in piccola crescita) portandolo al 1,25. Tema, questo della ‘tenuta’, che il legislatore dovrà osservare con attenzione in termini di interventi normativi e finanziari”. E che certamente dovrà considerare anche nel vagliare le proposte sul tavolo di contro tra Governo e sindacati in tema di riforma pensioni.
RIFORMA PENSIONI, LA RICHIESTA DELL’ANIEF
Oggi si celebra la Giornata Mondiale dell’insegnante e orizzontescuola.it riporta le dichiarazioni di Marcello Pacifico, secondo cui “c’è più di qualcosa che non va se nell’ambito di una professione così importante, quale è quella dell’insegnamento tra i 3 e i 19 anni, si continua ad essere immessi in ruolo dopo i 40 anni e ad andare in pensione ormai alle soglie dei 70 anni, per via di riforme previdenziali orientate sempre e solo ad innalzare la soglia degli anni per l’accesso al pensionamento e a ritardare quindi l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Una professione, quella del docente, che perde diritti anziché acquisirne: considerata da tutti ad alto rischio burnout, per il suo svolgimento non si riesce nemmeno a fargli riconoscere il rischio biologico, invece da tempo accordato ad infermieri e medici che svolgono professioni sociali fondamentali”. Il Presidente nazionale dell’Anief chiede da tempo infatti che nell’ambito delle misure di riforma pensioni l’insegnamento sia riconosciuto lavoro gravoso, come avviene al momento nel caso della scuola dell’infanzia.
LA NECESSITÀ DI UNA STAFFETTA GENERAZIONALE
Si sta parlando molto in questi giorni di Quota 100 e, secondo la Segretaria confederale della Uil, Ivana Veronese, la misura di riforma pensioni varata nel 2018 “doveva essere una staffetta generazionale”, ma i numeri dicono “che non lo è stata”. Secondo quanto riporta lavocedivenezia.it, partecipando all’evento del festival dello Sviluppo sostenibile “Il patto per l’occupazione dei giovani: una sfida necessaria” all’Università Luiss, la sindacalista ha evidenziato che bisognerebbe “studiare un altro meccanismo” “per accompagnare le persone che sono vicino alla pensione, ma con una garanzia di inserimento dei giovani, perché altrimenti non immettiamo nel mondo del lavoro i ragazzi”. Intanto il Governo potrebbe intervenire per sanare una mancanza del decreto agosto: senza una proroga, dal 15 ottobre riprenderà l’invio delle cartelle esattoriali e sarà possibile per il Fisco “riprendere i pignoramenti su stipendi o pensioni, gli accertamenti esecutivi, le ingiunzioni fiscali degli enti territoriali, gli accertamenti dei Comuni”.
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI GHISELLI
In attesa che Governo e sindacati tornino a incontrarsi per parlare di riforma pensioni, Roberto Ghiselli evidenzia che tale confronto “parte dal presupposto che non vi sarà nessun intervento peggiorativo rispetto alle condizioni di pensionamento attuale, compresi i requisiti per accedere alla pensione anticipata”. Questo vuol dire che almeno fino al 2026 si potrà accedere alla pensione con 42 anni e 10 mesi (o 41 anni e 10 mesi per le donne) di contributi versati indipendentemente dall’età anagrafica. Il Segretario confederale della Cgil, in un’intervista a pensionipertutti.it, spiega anche di essere d’accordo con quanti chiedono che i requisiti pensionistici non vengano più legati all’aspettativa di vita, che oltretutto “cambia anche il coefficiente di trasformazione”.
IL SINDACALISTA CONTRO LE QUOTE
Rispetto alle proposte che sembrano essere sul tappeto per il post-Quota 100, Ghiselli dice di non essere convinto dall’idea “della Quota, ne 100 tantomeno 102. Il concetto della quota appartiene ad una fase, quella del retributivo, ormai superata. Chi andrà in pensione da oggi in poi sarà in un regime prevalentemente o esclusivamente contributivo, in cui non conterà più l’età minima in cui andare in pensione e neanche gli anni di contributi. Conterà solo l’età effettiva di pensionamento (più si rimane al lavoro e più si prende) e il montante contributivo, cioè il valore dei contributi versati. Quindi basta vincoli ormai anacronistici: dopo 62 anni di età o dopo 41 anni di contributi sarà il lavoratore o la lavoratrice a fare i suoi conti e decidere, secondo le sue esigenze, quando andare in pensione”.