I VERSAMENTI PER I LAVORATORI OPERANTI IN PAESI EXTRA-UE

Come ricorda pensionioggi.it, “ci sarà tempo sino al 16 luglio 2021 per regolarizzare i versamenti contributivi a favore dei lavoratori operanti in paesi extra-comunitari. Lo rende noto l’Inps nella Circolare n. 64/2021 in cui, come di consueto, fissa gli adempimenti per le aziende scaturenti dall’aggiornamento dei minimali di reddito per i lavoratori italiani operanti all’estero in Paesi extracomunitari con i quali non sono in vigore accordi di sicurezza sociale (di cui al decreto interministeriale Lavoro-Economia del 23 marzo 2021 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 7 aprile)”. Occorre tenere presente che “le fasce di retribuzione convenzionale riguardano non solo i lavoratori italiani ma anche i lavoratori cittadini degli altri Stati membri dell’Ue e ai lavoratori extracomunitari, titolari di un regolare titolo di soggiorno e di un contratto di lavoro in Italia, inviati dal proprio datore di lavoro in un Paese extracomunitario”. Per quanto riguarda il Regno Unito “l’Inps si riserva apposite istruzioni in considerazione della recente Brexit”.



QUANTO COSTEREBBE LA MISURA APPOGGIATA DALLE IMPRESE

La proposta formulata da Confindustria – accolta favorevolmente dal Ministro Orlando e anche dai sindacati – sui contratti di espansione non sarà certo la fonte primaria della riforma pensioni, ma potrebbe essere un ottimo intervento “latere”. In merito ai costi, ancora il Corriere della Sera prova a tracciarne i possibili sviluppi qualora fosse adottato a livello unitario anche nel prossimo anno: già oggi le grandi aziende sopra i 500 dipendenti possono sfruttare il contratto di espansione per riqualificare il personale oltre che per i pre-pensionamenti. «I tecnici che per ora nelle simulazioni si sono spinti fino a una soglia di 100 dipendenti, stimano che servirebbero 8-900 milioni di copertura», si legge nel focus del CorSera. Le risorse potrebbero essere già stanziate nella prossima Manovra di Bilancio dato che a fine 2021 scadrà la prova sperimentale del contratto di espansione, introdotto nel 2019. (agg. di Niccolò Magnani)



CONFINDUSTRIA CHIEDE ESTENSIONE CONTRATTO DI ESPANSIONE

Maurizio Stirpe, intervistato dalla Stampa, spiega che il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha chiesto a Draghi “una maggior diffusione del contratto di espansione abbassando a 50 dipendenti la soglia delle aziende che possono beneficiarne”. Il Corriere della Sera, in un articolo dedicato alla misura di riforma pensioni introdotta dal Governo Conte-1 e già potenziata con l’ultima Legge di bilancio, sottolinea che l’idea degli industriali è quella di poter avere anche bonus per l’assunzione di giovani e donne, in modo “da un lato di ampliare la possibilità di far uscire i lavoratori anticipatamente e dall’altro di assumere con costi ridotti”. Il quotidiano milanese evidenzia che anche Maurizio Landini ha citato il potenziamento dei contratti di espansione come “strumenti alternativi ai licenziamenti” e che anche il ministro del Lavoro Orlando, in un’intervista al Messaggero, ha spiegato che il Governo sta valutando l’estensione dello strumento a imprese sotto i 250 dipendenti. Sembrano insomma esserci tutte le condizioni per inserire questo intervento nella prossima Legge di bilancio.



I RECUPERI INPS VERSO PENSIONATI MENO ABBIENTI

L’Usb di Trieste segnala che ad alcuni pensionati con assegni anche inferiori a 350 euro al mese, sono arrivate richieste di rimborso da parte dell’Inps per importi dai 3mila ai 10mila euro. Il sindacalista Giorgio Vesnaver, come riportato da triesteprima.it, evidenzia che “la campagna di recupero che l’Inps sta effettuando a livello nazionale in questi mesi va a danno delle fasce di popolazione meno abbienti, in larga parte anziani. Si parla di quote di pensione erogate in modo indebito ma la circolare interna prevede il rimborso degli arretrati solo in caso di dolo da parte del pensionato, non se l’errore di calcolo è dell’Inps. Sarebbe comunque d’obbligo spiegare in modo chiaro al pensionato il motivo di questo errore, ma le spiegazioni che arrivano sono farraginose e non chiare, il che rende anche difficile fare ricorso. I ricorsi effettuati, in genere, danno ragione ai cittadini ma spesso queste persone non intraprendono questa strada perché sono molto avanti con gli anni e a volte scoraggiati dalle modalità tecnologiche come la richiesta dello Spid”.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI GHISELLI

Roberto Ghiselli evidenzia che una riforma pensioni all’insegna della flessibilità, come quella chiesta dai sindacati, comporterebbe sì un anticipo di spesa, ma non “una spesa aggiuntiva”. Intervistato dal Diario del lavoro, il Segretario confederale della Cgil spiega di ritenere che sarebbe possibile varare una riforma organica del sistema pensionistico in pochi mesi, perché “il grosso del lavoro era già stato fatto col precedente governo e col precedente ministro, Nunzia Catalfo. Era stato concordato con noi un percorso, c’era un gruppo di esperti che aveva lavorato a lungo, un prezioso lavoro istruttorio. Poi c’erano due commissioni specifiche, una per i lavori gravosi, l’altra per la separazione previdenza assistenza, e infine, la promessa di una legge delega entro l’estate, da arricchire con i decreti in autunno, in modo che dal 1 gennaio 2022 ci fossero certezze”.

IL PROBLEMA DELLA VOLONTÀ POLITICA

Dal suo punto di vista, “si dovrebbe tenere conto di questo lavoro a monte, recuperando quanto fatto in precedenza. Ci sono, inoltre, le molte proposte in Parlamento; c’e’ la nostra piattaforma unitaria; ci sono i contributi di molti esperti e studiosi. Tutti hanno fatto proposte, e dunque il materiale, le basi per lavorare rapidamente a una riforma delle pensioni, ci sono. Basterebbe iniziare”. Tuttavia, si tratterebbe di “capire se c’e la volontà politica di questo ministro, di questo governo, per fare una cosa seria, o se si intende limitarsi a qualche ritocco”. Ghiselli avverte poi che trascurare il tema “soprattutto per la sinistra sarebbe un errore imperdonabile, che la allontanerebbe ancora di più dal mondo del lavoro”.