RIFORMA PENSIONI. L’Inps ha reso noti i dati riguardanti il flusso delle nuove pensioni erogate nel 2019 in vigenza delle nuove norme introdotte dal dl n. 4/2019 che potremmo definire “il decreto delle due bandiere” in quanto raccoglieva la disciplina delle due più importanti iniziative del governo Conte 1 nella manovra di bilancio per l’anno in corso. Come si può vedere dalla tabella 1, dove è rappresentato il confronto con il 2018, le adesioni alle nuove regole disposte per favorire il pensionamento anticipato (quota 100, misura sperimentale per un triennio; blocco a 42 anni e 10 mesi, con un anno in meno, per le lavoratrici, fino al 2026, del trattamento ordinario di anzianità a prescindere dal requisito anagrafico) non hanno particolarmente convinto i possibili aderenti.
È vero che, per completare il 2019, mancano ancora tre mesi, ma a fine anno il dato complessivo, riguardante tutte le categorie di lavoratori privati, dipendenti e autonomi (non si capisce per quali motivi l’Inps non fornisce puntualmente le statistiche dei dipendenti pubblici, nonostante l’avvenuta incorporazione dell’Inpdap ormai da anni), non sarà molto superiore a quelle del 2018. Peraltro, anche l’importo medio mensile lordo è leggermente inferiore.
Va notato invece il caso del crollo delle pensioni di vecchiaia. Il motivo non è casuale, ma risponde a una bizzarria della controriforma fortemente voluta dalla Lega (ma rivendicata anche dal M5S che l’ha difesa nell’ambito della nuova maggioranza con il Pd, ammesso e non concesso che questo partito volesse veramente abrogare o rivedere quei provvedimenti). Il dl n. 4/2019 si è limitato a prevedere la mancata applicazione dell’aggancio automatico alla dinamica dell’attesa di vita, fino al 2026, per la sola pensione anticipata, ma per quella di vecchiaia, il cui requisito anagrafico non ha beneficiato del blocco.
Come scrive l’Inps: nei primi nove mesi del 2019 si registra un numero complessivo di liquidazioni di vecchiaia decisamente inferiore al corrispondente valore del 2018. La differenza rilevata in questo monitoraggio, che in parte verrà colmata con lo smaltimento, nel 2019, delle giacenze delle pensioni con decorrenza precedente, è riconducibile per il primo semestre dell’anno all’aumento del requisito di età richiesto per la liquidazione della pensione di vecchiaia per effetto dell’incremento di 5 mesi della speranza di vita. Lo stesso principio è valso per i trattamenti di invalidità e l’assegno sociale.
Diverso è il caso del lavoro dipendente privato (seconda tabella) dove in nove mesi si sono raggiunti (e leggermente superati) i trattamenti anticipati del 2018, mentre diminuisce il numero complessivo delle nuove pensioni in conseguenza del dimezzamento delle prestazioni di vecchiaia e della diminuzione, per analoghi motivi, già ricordati, dei regimi dell’invalidità e dei superstiti.
Come risulta nell’importo dei trattamenti non emergono differenze qualitative. Rispetto agli stanziamenti previsti nella manovra per il 2019, vi sono stati dei risparmi, che si aggiungono a quelli dovuti alle performance non brillanti del reddito di cittadinanza. Tanto che nella Nadef la spesa per pensioni, sulla base del minor numero di domande di pensionamento anticipato con i nuovi canali sperimentali è stata ridotta, rispetto a quanto stimato nel Def, di 1,2 miliardi nel 2019, 1,7 nel 2020 e 0,4 nel 2021.
Tuttavia, a fronte dei risultati censiti, il fatto che la manovra della annunciata “discontinuità” giri alla larga delle pensioni non è certo un atto di coraggio dell’attuale Governo.