Nel programma del Governo Draghi il tema della riforma delle pensioni è ancora una stanza vuota che deve essere ammobiliata, con suppellettili che sono riposte ancora all’esterno in attesa che l’architetto studi come disporle. Nel frattempo, dalle finestre e da qualche fessura nei muri entrano degli spifferi, taluni dei quali anche maleodoranti. I nuovi inquilini non hanno più intenzione di mettere al centro della sala i mobili che prima stavano nelle stanze giallo-verdi (in particolare una cassapanca stile quota 100), ma il cattivo gusto che indusse all’acquisto di quella mobilia non sembra essere superato. 



Fuor di metafora, sul “che fare?” quando si dovrà mettere mano alle pensioni (tutti sanno che è inevitabile per tanti motivi) non sono fugate le chimere, le cattive ideologie, le falsificazioni della realtà che sono sempre all’erta quando si affronta la materia. Sta tornando in circolazione la più grande delle mistificazioni (nonostante il vistoso fallimento di a seguito di quota 100): mandare in pensione il prima possibile e il maggior numero possibile di lavoratori anziani allo scopo di assumere dei giovani. Maurizio Landini – con la stessa pretesa di sviluppare calcoli complessi servendosi di un pallottoliere – ha già chiesto un assunto per ogni pensionato, con una nuova staffetta generazionale (ma c’è mai stata una staffetta vecchia?). Si vede che il leader della Cgil pensa di essere ancora in regime di collocamento obbligatorio con la cosiddetta chiamata numerica all’insegna dell’uno vale uno, ovvero un lavoratore vale l’altro a prescindere dalla professionalità che serve all’azienda per sostituire chi esce. Poi come si effettuerebbe questa staffetta? Con una sorta di imponibile di manodopera e con un Caronte che sta sul portone dell’azienda a contare chi esce e prenotare chi entra? Magari fermo restando il blocco dei licenziamenti? 



Anche nel pubblico impiego tira aria di ringiovanimento degli organici (il ministro Brunetta parla di assumere gli under 35) mediante una procedura che ha un nome collaudato nei decenni: “scivolo”ovvero un incentivo al prepensionamento. Già nella sua “prima volta” al ministro della Funzione pubblica fu promosso un meccanismo di esodo anticipato attraverso una norma che consentiva alle amministrazioni (salvo eccezioni) di mettere in quiescenza che avesse maturato 40 di contribuzione a prescindere dall’età anagrafica. I dipendenti che erano stati assunti in giovane età si trovarono pensionati a loro insaputa. Poi c’è stata quota 100 che nel pubblico impiego ha ricevuto parecchie adesioni (il 50% di quelli previsti nella Relazione tecnica contro il 14% del settore privato). 



Tuttavia, se si vuole svecchiare facendo “scivolare” i travet più anziani verso la pensione è opportuno che Brunetta si accerti con cura di aver reso più efficienti le procedure dei concorsi, altrimenti nella Pubblica amministrazione – come è già successo in diversi settori – si sguarniscono i servizi e si è costretti ad assumere personale precario, come nella scuola. 

Nei giorni scorsi ha detto la sua anche Graziano Delrio, capogruppo del Pd alla Camera, proponendo una sorta di quota 92 che dovrebbe subentrare alla scadenza di quota 100. La misura, pensata per le categorie più vulnerabili, donne e lavoratori che svolgono mestieri usuranti, prevederebbe l’uscita con 62 anni di età ma con soli 30 anni di contributi con una penalizzazione del 3% per ogni anno di anticipo. Si tratta di una proposta che potrebbe essere intitolata “alla ricerca del tempo perduto”, visto che fa solo confusione, perché questa materia è già regolata dall’Ape sociale pensata apposta per rispondere alle stesse esigenze indicate dal capogruppo del Pd, per uomini e donne (varie fragilità, lavori gravosi, caregivers, disoccupazione, ecc.). L’Ape è un anticipo a fondo perduto del trattamento pensionistico perché gli interessati non devono restituire nulla quando riscuoteranno a suo tempo la pensione. E la riscuoteranno intera, senza quella penalizzazione del 3% per ogni anno, come ha proposto Delrio, che comporterebbe un taglio che può arrivare al 15%. 

Poi, parliamoci chiaro: il pensionamento delle donne non può diventare una tombola. Mettiamo in fila l’elenco delle possibili via d’uscita: opzione donna, 58+35 anni con calcolo interamente contributivo; pensione di anzianità ordinaria che prescinde dall’età anagrafica: 41 anni e 10 mesi; pensione ordinaria di vecchiaia: 67 anni con almeno 20 anni di contributi. Evitiamo di citare le casistiche (sono ben tre come per gli uomini) previste per le donne che, avendo iniziato a lavorare prima del 1996, sono interamente in regime contributivo. A questo variopinto ventaglio si aggiungerebbe quindi un’eventuale quota Delrio. 

Come abbiamo già avuto occasione di ricordare, pure la Lega sembra aver assunto posizioni meno ostinate in difesa (si vedano anche le recenti dichiarazioni di Claudio Durigon) di quota 100. I suoi maggiorenti alla Camera hanno presentato un progetto di legge (PdL 2855) nel quale è previsto che il diritto al pensionamento anticipato ordinario maturerebbe dopo 41 anni di versamenti contributivi effettivi, cumulati e figurativi. La novità – se abbiamo ben compreso – consisterebbe nell’applicazione del calcolo contributivo anche ai periodi regolati dal sistema retributivo. Una soluzione del ricalcolo ipotizzata anche da altre fonti (sia pure con requisiti più rigorosi), ma che – per ora – ha incontrato l’ostilità dei sindacati.

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