RIFORMA PENSIONI E DONNE. Nel 2021 è stata prorogata la possibilità per le donne di andare in pensione prima, a patto di scegliere  l’assegno interamente calcolato con il metodo contributivo, in deroga alle regole ordinarie che, com’è noto, chiedono in alternativa o il perfezionamento di almeno 41 anni e 10 mesi di contributi indipendentemente dall’età anagrafica (pensione anticipata) o il raggiungimento di un’età anagrafica pari a 67 anni unitamente a 20 anni di contributi (pensione di vecchiaia). Per effetto del passaggio al sistema di calcolo totalmente contributivo le lavoratrici che optano per Opzione donna  subiscono mediamente una decurtazione sull’assegno che oscilla intorno al 20-30% rispetto alle regole del sistema misto. Si arriva così alle “pensioni povere” per i noti periodi di interruzioni lavorative dedicati alla famiglia per i quali manca la contribuzione. 



Oggi ci risiamo, piovono proposte diverse in un Paese che perde popolazione, che non sarà in grado di pagare le pensioni e l’obiettivo dei governi – dicono – è porre le donne in condizione di scegliere liberamente di mettere al mondo un figlio o poter andare a lavorare senza rinunciarci per dover occuparsi di superlavoro  quando ci sono figli o anziani e disabili e perché il welfare  non le sostiene e il lavoro di cura non retribuito è svolto in prevalenza da donne. Giusta la proposta che bisogna riconoscere il lavoro di cura anche con  dodici mesi di anticipo per ogni figlio  o a scelta della lavoratrice una maggiorazione del coefficiente di trasformazione, e la valorizzazione ai fini pensionistici dell’accudimento  familiare di persone disabili o non autosufficienti. A questo fine il famoso Fondo per i caregivers non ancora sbloccato da liti interne alla maggioranza rappresenta anche una concreta possibilità per costruirsi un fondo assicurativo a sostegno del reddito. 



Rimango della convinzione che serva un mercato del lavoro stabile, sicuro e garantito per donne e giovani almeno fino a quando non abbiamo recuperato il gap tra maschi e femmine sia italiano che europeo perché sappiamo che se si anticipa il pensionamento l’importo dell’assegno sarà più basso, se si posticipa crescerà. La situazione delle pensioni delle italiane è questa: al 22 gennaio 2020 risultavano accolte 19.290 domande, pari all’85% delle domande riferite a donne che chiedono il pensionamento in fondi della gestione privata. Dal Rendiconto sociale Inps risulta che il 53,3%  delle domande di Opzione donna accolte era riferito a donne in situazioni di difficoltà lavorativa disoccupate, cassa integrate, ecc. I dati Inps  parlano chiaro nello storico:  il 34,4 % delle pensioni liquidate al 30 aprile 2019 riguardava lavoratrici senza alcun reddito nel 2017, mentre l’8,1% era riferito a lavoratrici con reddito fino a 5.000 euro, il 10,8% a lavoratrici con reddito tra 5.001 a 8.700 euro, il 13,5 % con reddito tra 8.701 e 13.000 euro, il 33,2%, invece, riguardava lavoratrici con redditi 2017 superiori a 13.000 euro annui, il 27,6% da 13.001 a 26.000 e il 5,6% con redditi superiori a 26.000 euro.



Dunque  bisogna intervenire e subito perché le donne italiane in una logica di sussidiarietà  di genere possano contare su una vita pensionistica e contributiva dignitosa, non al confine con la povertà. Un sistema strutturale e non a spot di servizi alla famiglia, di uso  espansivo della contrattazione di prossimità che sostenga anche con clausole sociali  e irrobustimento dei fondi bilaterali per il lavoro femminile è una strada possibile  ed equa.

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