In una recentissima intervista il commissario Paolo Gentiloni ha confermato che, a causa dei previsti ritardi connessi allo svolgimento delle elezioni e alla formazione di un nuovo Governo, l’Ue esaminerà separatamente il ddl di bilancio 2023 dell’Italia che nei prossimi giorni, con l’approdo in Aula, dovrebbe riuscire a percorrere l’ultimo tratto di un travagliato cammino ed evitare di conseguenza lo smacco dell’esercizio provvisorio.



È ormai evidente – non è la prima volta che succede – che gli ingorghi si stanno verificando all’interno della maggioranza, tanto che – fatta eccezione per i 21 miliardi destinati alla crisi energetica – tutto il resto sembra in discussione fino all’ultimo. Ciò vale anche per la nicchia delle pensioni, un tema in cui tutto sembrava ormai pacifico, grazie al “pacchetto quota 103”, all’incentivo per chi intende proseguire il lavoro, alla sfarinatura per due anni delle aliquote della perequazione automatica (che avrebbe dovuto risolvere anche la questione dell’incremento della pensione minima, grazie alla superidicizzazione del 120% prevista), mentre il Governo si era riservato, nell’incontro con i sindacati, di riesaminare le proposte relative a Opzione donna.



Quanto alla fine entrerà a far parte della manovra in materia di pensioni sarà al centro delle considerazioni della Commissione, sia pure nel contesto di un apprezzamento per la cautela alla base dell’impostazione generale. Che questa sia la situazione lo si comprende anche dalla lettura del Rapporto (n. 23 del 2022) della Ragioneria Generale dello Stato (RGS) sulle tendenze della spesa pensionistica e sanitaria. Il rapporto ha ricapitolato la normativa introdotta in via sperimentale col dl n.4/2019 (Quota 100 fino a tutto il 2021 e il blocco a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne dei requisiti contributivi in esame, per il periodo 2019-2026) a cui ha fatto seguito, con la Legge di Bilancio 2022, la facoltà di accedere (per il solo anno in corso) al pensionamento anticipato ai soggetti che maturano i requisiti di 64 anni di età e 38 anni di contributi (Quota 102), ivi accluse le diverse finestre d’accesso.



Le sopracitate misure rappresentano – sottolinea la RGS – una deroga temporanea alla struttura delineata dalla cosiddetta Legge “Fornero” (D.L. 201/2011 convertito con L. 214/2011) e, pertanto, non ne alterano le tendenze di lungo periodo. Al fine di fornire un’indicazione circa i maggiori oneri sul sistema pensionistico nel caso in cui una o entrambe le misure avessero perso la caratteristica di transitorietà e fossero state invece introdotte in modo permanente, in linea con un esercizio simile messo a punto nell’ambito del processo di peer review del sistema pensionistico italiano effettuato, in ambito europeo, dalla Commissione europea e dal Working Group on Ageing, la stessa RGS ha predisposto uno scenario alternativo in cui, sulla base delle ipotesi macroeconomiche e demografiche dello scenario nazionale si prevede, prima in modo esclusivo e poi congiuntamente: 1) il mantenimento fino al 2070 del canale anticipato con requisiti congiunti di 64 anni di età e 38 di anzianità con adeguamento della speranza di vita del requisito di età; 2) l’abolizione permanente dell’adeguamento alla speranza di vita del requisito di anzianità contributiva per il canale di pensionamento indipendente dall’età anagrafica che, pertanto, rimane fissato a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne con posticipo della decorrenza di tre mesi.

Secondo la RGS, l’introduzione strutturale di un canale di accesso al pensionamento anticipato con almeno 38 anni di anzianità contributiva e almeno 64 anni di età (incrementata a ogni biennio in funzione della variazione della speranza di vita) produrrebbe un aumento significativo del rapporto spesa pensionistica/Pil nel primo ventennio del periodo di previsione. Negli anni 2022-2044, l’incidenza della spesa in rapporto al Pil aumenterebbe, in media, di 0,25 punti percentuali. Il picco dell’incidenza della spesa pensionistica rispetto al Pil, a parte lo shock del 2020 dovuto alla crisi pandemica, verrebbe raggiunto nel 2042, due anni prima rispetto al valore di massimo previsto a legislazione vigente e con un valore di 16,9%. Dal 2045, quando l’effetto di contenimento degli importi legati all’anticipo del pensionamento implicato dalla nuova normativa supererebbe l’effetto del maggior numero di pensioni, la spesa in rapporto al Pil si assesterebbe su un livello leggermente inferiore a quello della simulazione base per poi riallinearsi negli ultimi anni di previsione. Il riallineamento sarebbe favorito anche dalla possibilità, già prevista a normativa vigente, di anticipare di tre anni la pensione di vecchiaia se l’importo della stessa supera 2,8 volte l’assegno sociale.

Cumulativamente, nell’intero periodo di previsione, l’introduzione in via permanente della possibilità di pensionamento anticipato con requisito congiunto di almeno 64 anni di età e 38 anni di anzianità contributiva, pur ipotizzando l’adeguamento del requisito anagrafico agli incrementi della speranza di vita, produrrebbe un maggior onere valutabile in 4,3 punti percentuali di Pil rispetto ai risultati della legislazione vigente, frutto di un incremento di 5,5 punti percentuali fino al 2044 e di un successivo recupero stimabile in 1,2 punti percentuali. L’abolizione permanente dell’adeguamento alla speranza di vita del requisito per il solo canale ordinario di anzianità avrebbe invece effetti quantitativamente superiori rispetto al mantenimento permanente dei requisiti di Quota 102, sebbene con un profilo differente.

Infatti, la natura dell’intervento agirebbe in modo equivalente sia sulle pensioni liquidate con il regime misto che su quelle liquidate esclusivamente con il regime contributivo. Rispetto alla serie risultante a legislazione vigente, la spesa in rapporto al Pil inizierebbe ad aumentare dopo il 2026 in modo graduale e, dal 2031, si manterrebbe più elevata di circa tre decimi di punto fino al 2045 e di un decimo di punto nel periodo successivo. Il punto di picco del rapporto verrebbe raggiunto nel 2042 risultando pari al 17% contro il 16,8% della simulazione a normativa vigente raggiunto nel 2044. Cumulativamente, nell’intero periodo di previsione, il blocco del requisito di anzianità contributiva al livello del 2019 e l’abolizione permanente degli adeguamenti biennali per tenere conto delle variazioni dell’aspettativa di vita produrrebbe un maggior onere valutabile in 6,9 punti percentuali di Pil rispetto ai risultati a legislazione vigente.

In uno scenario in cui entrambe le misure fossero applicate in via permanente, la spesa in rapporto al Pil crescerebbe fino al 2042, anno in cui raggiungerebbe il picco dell’incidenza, pari al 17,1% del Pil per poi decrescere rapidamente. Cumulativamente, i maggiori oneri ammonterebbero a 9,7 punti percentuali di Pil nell’intero periodo di previsione.

Queste previsioni della RGS risalgono alla primavera scorsa. E, com’è evidente, il Dipartimento del Mef si cautelava in vista di quanto sarebbe potuto succedere, dopo che la stessa soluzione transitoria di Quota 102 avesse cessato i suoi effetti alla fine dell’anno. L’attuale Governo, anziché ricondurre il sistema sui binari un po’ ammaccati della riforma Fornero, ha scelto di proseguire con soluzioni temporali e sperimentali, pur invertendo, con Quota 103, la funzione dei requisiti anagrafici e contributivi rispetto alla normativa di cui alla Legge di bilancio 2022. Ma in vista dell’impegno a una riforma strutturale assunta dal Governo Meloni che entrerebbe in vigore nel 2024, va da sé che gli eventuali elementi non potranno essere diversi da quelli combinati negli scenari della RGS. È quindi opportuno tenerne conto, soprattutto perché non è definito ciò che sarà stabilito a proposito dell’adeguamento automatico all’attesa di vista (la principale garanzia della sostenibilità del sistema), se e quando alla fine del 2026 verrà meno la sospensione sancita dal dl n. 4/2019 dal Governo giallo-verde, rimasta immutata in occasione delle modifiche intervenute successivamente.

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