INCONTRO SUGLI ESODATI IL 12 FEBBRAIO

Nell’ambito del confronto tra Governo e sindacati sulla riforma pensioni, il 12 febbraio si parlerà degli esodati ancora privi di salvaguardia. Il Comitato dei 6.000 esodati esclusi, in un comunicato stampa chiede “che il Governo finalmente onori le promesse fatte dall’inizio di questa Legislatura e, come ripetutamente rivendicato, ribadisce che l’unica sanatoria possibile per l’ingiustizia subita dagli ultimi 6.000 Esodati è l’immediata riapertura dei termini dell’Ottava Salvaguardia per gli Esodati che maturano il requisito previdenziale entro il 31/12/2021. Nessuna altra soluzione si volesse ipotizzare può rispondere ai principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in quanto anche agli ultimi Esodati spetta per equità lo stesso trattamento riservato agli altri già salvaguardati in precedenza”. Il Comitato conclude il comunicato evidenziando che “non avrà senso alcuno parlare di ‘revisione della Fornero’ finché la questione degli ultimi “6.000 Esodati esclusi” non sarà stata risolta!”.



DAMIANO E GHISELLI SUL NODO RISORSE

Non ci gira molto intorno Cesare Damiano per spiegare come sia “difficile pensare che una vera riforma delle pensioni che superi la legge Monti-Fornero e adotti una flessibilità strutturale per l’uscita dal lavoro possa costare meno di Quota 100, come richiede e sostiene Marco Leonardi, tecnico del governo”. L’ex ministro del Lavoro ricorda in questi senso che “ai tempi dell’Inps, con presidente Boeri l’istituto stimava il solo costo di Quota 41 in 8 miliardi e 2,5 miliardi per prolungare Opzione Donna. È vero che successivamente, con il governo gialloverde, le stime dei costi sono diventate più ragionevoli, ma difficilmente si può far stare un elefante in una ‘500’ della Fiat”. Sul tema delle risorse Roberto Ghiselli, Segretario confederale della Cgil, secondo quanto riporta il sito di Rassegna sindacale, ha spiegato che “non aiuta che tutti giorni, mentre al tavolo ufficiale il governo non dice nulla, nel frattempo membri che parlano a suo nome lancino ipotesi sia su quota 100 sia sulle risorse da mettere in campo”.



QUOTA 100 FINISCE PRIMA?

Il Governo sembra essere impegnato su due fronti importanti, quello della riforma pensioni e quello della riduzione delle tasse, che richiedono non poche risorse. Intervistato da Repubblica, Antonio Misiani spiega che “le riforme di fisco e pensioni vanno costruite dialogando sin da ora con le parti sociali. Tutto subito è impossibile. Bisognerà selezionare le priorità e costruire un percorso pluriennale”. Il viceministro dell’Economia non esclude di mettere fine a Quota 100 con un anno di anticipo. “Non abbiamo preclusioni. Importante è dare certezza a chi deve andare in pensione nel 2021. E fare una riforma equa e sostenibile che tuteli i giovani e le categorie più fragili con costi inferiori a quelli di Quota 100”, aggiunge. Anche Il Sole 24 Ore evidenzia che  “‘l’accoppiata’ Irpef-pensioni molto ardua da realizzare il prossimo anno, a meno di non finanziare subito le nuove misure previdenziali con uno stop in qualche modo anticipato di Quota 100”. Tutto starà a vedere se i sindacati accetteranno un stop anticipato di Quota 100.



IPOTESI FLESSIBILITÀ CON PENALIZZAZIONI

Governo e sindacati continuano a ragionare su come varare una nuova riforma pensioni che garantisca maggior flessibilità. Secondo quanto riporta Repubblica, l’esecutivo starebbe ragionando sull’ipotesi di una penalizzazione intorno al 2% per ogni anno di anticipo, fino a un massimo di tre. Si andrebbe così a riprendere la proposta di Cesare Damiano, con un’età di anticipo portata a 64 anni con 36 di contributi, in cambio di una perdita del 6% dell’importo dell’assegno. Un’ipotesi che sarebbe sicuramente più “digeribile” per i sindacati rispetto a quella di un ricalcolo contributivo degli assegni, che comporterebbe un taglio vicino al 30% per il futuro pensionato. Resta il fatto che Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto una flessibilità a partire dai 62 anni e quindi bisognerà cercare di mediare tra le diverse esigenze. Importante in questo senso sarà anche capire quante risorse potranno essere messe sul piatto da parte del Governo per il varo di questa riforma pensioni, considerando le ristrettezze di bilancio già esistenti.

I PROBLEMI DELLA PREVIDENZA AL FEMMINILE

Alessandra Servidori, in un intervento su formiche.net, suggerisce “a Tiziano Treu, presidente del Cnel, qualche riflessione sulla situazione delle pensioni al femminile, posto che pur essendo sensibile al divario di genere non ha messo nel gruppo di lavoro neanche un’esperta della materia. Mentre aspettiamo le azioni concrete del governo Conte-Bis ci preoccupiamo dei dati molto bruttini della situazione delle pensioni partendo dalle domande che sono pervenute all’Inps per usufruire della pensione con quota 100”. Non si sa la loro ripartizione esatta tra uomini e donne, ma è noto che per quest’ultime è difficile raggiungere i 38 anni di contribuzione richiesti. Noti sono anche i problemi della previdenza al femminile “ed è necessario trovare soluzioni possibili e concrete per modificare una situazione insostenibile per le cittadine italiane: abbiamo delle proposte ma il presupposto è ritenere esperte della materia anche le donne e non solo i colleghi”, aggiunge Servidori, mandando quindi un chiaro messaggio a Treu.

RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI GRONCHI

In tema di riforma pensioni si sta discutendo di una flessibilità basata sul ricalcolo contributivo degli assegni. Sandro Gronchi, in un intervento su lavoce.info, spiega che non è vero che così non ci sarebbero dei “costi” per la collettività e non solo perché “il sistema non deve produrre poveri la cui assistenza ricadrebbe sulla fiscalità generale”. Il punto è che quando si calcola la pensione si tiene anche conto della vita residua del pensionando, che può solo essere stimata. L’aumento della longevità potrebbe però portare a stime per difetto. “La morale è che l’obsolescenza dei coefficienti costringe il sistema contributivo a fare ‘doni’ tanto più generosi quanto minore è l’età al pensionamento”, scrive l’economista.

I “DONI” DEL SISTEMA CONTRIBUTIVO

Dal suo punto di vista, per evitare questi “doni”, “occorre che, nella stima della vita residua, i tassi di sopravvivenza osservati per le generazioni precedenti siano sostituiti con previsioni scientificamente fondate delle probabilità con cui il pensionato potrà effettivamente sopravvivere”. Questo vuol dire anche che la pensione di anzianità, oggi accessibile con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) dovrebbe essere corretta. “Il requisito contributivo richiesto per accedervi dovrebbe essere affiancato da uno anagrafico che cresca nel tempo fino a ‘riassorbirla’ in una pensione di vecchiaia più flessibile”, scrive Gronchi, ricordando che “la pensione d’anzianità è un istituto tipicamente italiano, rivolto a carriere lavorative privilegiate perché esenti da lavoro nero e disoccupazione”.