RIFORMA PENSIONI, L’EFFETTO DI QUOTA 100 E COVID
Oltre al Covid, anche la riforma pensioni con Quota 100 ha inciso sul livello della spesa pensionistica italiana in rapporto al Pil. Lo segnala, come riporta il sito di Repubblica, l’Ufficio parlamentare di bilancio spiegando che “nel volgere di soli tre anni, tra il 2018 e il 2020, l’incidenza sul Pil della spesa pensionistica aumenta significativamente nel breve periodo per effetto del peggioramento dello scenario macroeconomico e delle nuove possibilità di pensionamento introdotte nel 2019”. Nello specifico, “l’incidenza aumenta poco meno di un punto percentuale nel 2020 (arrivando al 15,8 per cento), per poi gradualmente convergere verso gli stessi valori allineandovisi tra il 2040 e il 2045. L’effetto è dovuto in primo luogo alle nuove possibilità di pensionamento introdotte nel 2019, tra queste la temporanea ‘Quota 100’ e la sospensione sino al 2026 dell’aggancio alla speranza di vita dei requisiti per le uscite anticipate che ha invece un effetto permanente. In parte pesa anche la revisione in senso peggiorativo del quadro macroeconomico dei primi anni, il cui effetto si trascina nel tempo”.
IL PUNTO DEBOLE DELL’ACCORDO INPS-MAE
L’accordo tra Inps e ministero degli Esteri per l’attestazione dell’esistenza in vita dei pensionati all’estero anche tramite videochiamata viene considerata da Francesca La Marca, deputata eletta dalla Circoscrizione Estero Nord e Centro America, come un passo avanti rispetto alla richiesta fatta, insieme a colleghi del Pd e di Italia Viva, di rinviare la campagna di accertamento in vita o ricorrere a un’autocertificazione per evitare agli anziani e agli operatori di patronato i rischi di un possibile contagio per via dell’emergenza Covid. Tuttavia, come riporta italiannetwork.it, La Marca fa presente “chi ha una conoscenza vera del comportamento dei nostri pensionati all’estero sa bene” “che il solo fatto di dovere riempire dei moduli e spedirli insieme alle copie dei documenti di riconoscimento, nonché dovere gestire una videochiamata, porterà ugualmente tanti anziani negli uffici dei patronati, mettendo a repentaglio la loro salute e quella degli operatori”. Dunque la deputata resta convita che sarebbe stato meglio percorrere le strade principali, quella del rinvio e quella dell’autocertificazione, per il bene di tutti”.
IL 34% DELLE PENSIONI SOTTO I 1.000 EURO
Oggi è stato presentato il Rapporto annuale dell’Inps, dal quale emerge, come riporta Adnkronos, che quasi il 34% dei pensionati, pari a 5,1 milioni di unità, percepisce un assegno inferiore ai 1.000 euro al mese, “oltre il 21% invece percepisce redditi pensionistici mensili tra i 1.000 e i 1.500 euro; il restante 45% ha redditi pensionistici oltre i 1.500 mensili con l’8% che supera i 3000 euro”. Resta alto il gap di genere, visto che mediamente gli uomini percepiscono un assegno di 1.864 euro contro i 1.336 delle donne. E mentre i sindacati chiedono al Governo, nell’ambito del confronto sulla riforma pensioni, di ampliare la platea dei beneficiari della quattordicesima, riservata ai redditi pensionistici più bassi, Marco Rizzo, Segretario del Partito comunista, come riporta yeslife.it, in un video per il canale youtube di money.it, spiega di vedere all’orizzonte il rischio di un prelievo forzoso sui conti correnti, oltre che tagli alle pensioni: “Sono i grandi numeri che fanno profitti. Ad essere colpite saranno le 10 milioni di pensione sotto i 1.000 euro”.
RIFORMA PENSIONI, PIÙ SPAZIO ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
In tema di riforma pensioni si parla sempre più nelle ultime settimane di previdenza complementare e, come ricorda Adnkronos, anche con alcuni eventi, come quello organizzato da SoldiExpert SCF che si terrà online mercoledì prossimo con il titolo “Pensione (privata e pubblica) in Italia, indipendenza finanziaria e vivere di ‘rendita’ fra mito e realtà. Cosa c’è da sapere”. Salvatore Gaziano, fondatore di SoldiExpert SCF evidenzia che “nonostante la spesa previdenziale pubblica sempre più elevata la coperta è sempre più corta per molti cittadini. Le pensioni degli italiani si sono molto impoverite in questi mesi e ne pagheranno le conseguenze soprattutto le generazioni più giovani. E vi è un problema sempre più forte poi di ‘buchi’ contributivi che si ripercuoterà inevitabilmente sui trattamenti futuri. Il secondo e il terzo pilastro ovvero quello previdenziale di categoria e individuale non marciano come dovrebbero in Italia e vi è anche un grande problema di costi che andrebbe velocemente affrontato”.
LO “SCALINO” DI QUOTA 100
L’economista Vincenzo Galasso su Yahoo Finanza, esattamente come il direttore del Foglio, riflette stamane sulle problematiche sorte dalla riforma pensioni di Quota 100 provando a tracciare i prossimi step che il Governo dovrà intraprendere per trovare un degno “sostituto” al provvedimento dell’esecutivo gialloverde. «La misura lascia in eredità un enorme scalino. Senza ulteriori riforme, alcuni avranno potuto usufruire di Quota 100 andando in pensione a 62 anni con 38 anni di contributi e altri invece, magari solo per essere nati pochi giorni dopo, non avranno raggiunto a tempo la fatidica quota e dovranno aspettare quasi cinque anni per andare in pensione, a 67 anni o con 42 e 10 mesi di contributi», sottolinea l’economista, valutando come l’equità sia il problema massimo da “superare” in vista del prossimo Recovery Plan che proprio nelle richieste formulate dall’Europa dovrà esprimere riqualificazione e aggiornamento. Secondo Galasso, «Aumentare la produttività nel mercato del lavoro di una società che invecchia è un obiettivo perseguibile con il Recovery Plan, attraverso una combinazione di investimenti e riforme. Investimenti finalizzati a sostenere la funzione e la produttività dei lavoratori anziani. Riforme volte a consentire ai lavoratori un’uscita anticipata dal mercato del lavoro, ma senza gravare sul bilancio dello stato».
RIFORMA PENSIONI, LE PAROLE DI CERASA
Di fronte alla carenza di organico in settore cruciali in questo periodo di emergenza Covid come la sanità e la scuola, Il Foglio si è chiesto, come spiega il direttore Claudio Cerasa in un editoriale, “se questa carenza di personale potesse essere in qualche modo legata alla scivolo di Quota 100 concesso nel 2018 dal Governo gialloverde e dopo decine e decine di tentativi di ottenere i numeri dei fruitori di Quota 100 da parte dell’Inps siamo riusciti ad avere alcuni dati ufficiali finora inediti”. Dati certamente interessanti per una misura di riforma pensioni che ha fatto discutere e che continuerà a suscitare dibattito almeno fino alla sua naturale scadenza a fine 2021. I dati, continua Cerasa, “confermano il nostro sospetto: Quota 100 ha indebolito la struttura pubblica, togliendo al mondo della scuola e della sanità personale prezioso”.
L’ACCUSA A QUOTA 100
Il direttore del Foglio segnala che naturalmente c’è un altro aspetto della vicenda, ovvero il fatto che “i legislatori hanno approvato questa riforma demagogica disinteressandosi di come trovare per tempo un ricambio effettivo”. I dati in possesso del quotidiano romano dicono che dei quasi 78.000 dipendenti pubblici che hanno beneficiato di Quota 100 dal 1° gennaio 2019 al 1° ottobre 2020, quasi 34.000 vengono dal mondo della scuola e quasi 12.000 da quello della sanità. Dunque, conclude Cerasa, “se la sanità e la scuola oggi devono fare i conti con delle gravi inefficienze in termini di personale non lo si deve solo a un’emergenza improvvisa (la pandemia), ma lo si deve anche a una scelta irresponsabile fatta due anni fa dalla Lega e dal M5s”.