PENSIONI. Ieri è stato presentato in Senato il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2020 a cura del centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali presieduto da Albero Brambilla. È ormai il nono anno che questa autorevole realtà indipendente fornisce una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale italiano con previsioni per gli anni successivi di medio-lungo periodo. È, quindi, un’interessante fotografia sui costi, sulle carenze e sulle possibili soluzioni di un tema delicatissimo e che incide così pesantemente sulla vita dei cittadini come quello previdenziale. Sono oltre 200 pagine ricche di dati e grafici che sono stati presentati all’interno di un luogo prestigioso come il Senato della Repubblica su un argomento che incide pesantemente sul bilancio statale.



All’interno di questa relazione ci sono sicuramente alcuni aspetti che fanno gridare allo scandalo, in particolare quando si evidenzia come in Italia esistono ancora quasi 450.000 assegni previdenziali che sono erogati da oltre 40 anni. Si fa riferimento in particolare alle cosiddette pensioni baby, introdotte in Italia dal Governo Rumor nel 1973, che consentivano il pensionamento con 20 anni di contributi (per le donne coniugate con 15 anni), ma anche agli Enti Locali dove bastavano 25 anni di contributi (per le donne coniugate 20 anni), all’istituzione delle pensioni sociali e a una certa benevolenza sulle concessioni delle pensioni di invalidità perché si ritenne in quel contesto storico di mantenere il consenso politico verso i partiti al Governo concedendo numerosi benefici su larga scala pensando, in tal modo, di ridurre eventuali spinte verso l’estremismo. Nel rapporto si evidenzia, inoltre, che ci sono oltre 2.500.000 di pensionati che usufruiscono dell’assegno da oltre 30 anni quando il pensionamento era consentito con poco più di 50 anni e con notevole esborso finanziario dovuto al calcolo retributivo.



Il rapporto relativo all’andamento finanziario dell’anno 2020 è stato notevolmente condizionato dagli effetti della disastrosa pandemia che ha colpito durissimamente le attività economiche con notevole diminuzione dei versamenti degli importi relativi ai contributi previdenziali e conseguente aumento spropositato della cassa integrazione. Probabilmente, anche se in misura minore, anche l’anno 2021 sarà deficitario in questi termini, ma l’anno 2022 confermerà quello che già si era evidenziato, vale a dire che il sistema previdenziale italiano, al di là di alcuni elementi di criticità, sembra mantenere quella condizione di stabilità frutto delle durissime ultime riforme.



Il vero problema, semmai, è rappresentato dalla spesa assistenziale sempre più fuori controllo, che è aumentata enormemente durante la pandemia e che è costata alla fiscalità generale nell’anno 2020 ben 144 miliardi, quasi quanto il costo delle pensioni epurato dall’Irpef che è stato di circa 155 miliardi.

Questi dati confermano quello che già si era evidenziato negli anni scorsi, vale a dire la sostenibilità del sistema pensionistico italiano attuale e nel prossimo futuro a patto però di non stravolgere quanto di buono attuato in questi ultimi anni e di intervenire su un tema su cui si è dibattito molto negli ultimi tempi, vale a dire la separazione tra previdenza e assistenza.

Alla luce di questi dati stupisce ancora di più quanto elaborato dalla Commissione tecnica istituita dal ministro Orlando, che ha concluso cinque mesi di lavori affermando che per il momento gli interventi di natura assistenziale come le integrazioni al minimo degli assegni pensionistici, le pensioni e il Reddito di cittadinanza, gli assegni sociali e la 14esima dei pensionati devono rimanere collocati all’interno del grande fiume della spesa previdenziale. Per la Commissione non appare praticabile, infatti, una separazione netta della previdenza dall’assistenza anche a causa della natura spesso ibrida della prestazione che rende complicata una distinzione delle fonti di finanziamento anche a causa delle diverse classificazioni da parte di Istat, Ragioneria Generale dello Stato e Inps in cui non è sempre presente la distinzione delle due voci. 

Una distinzione chiara tra i due istituti invece è necessaria perché, inoltre, potrà far affiorare in maniera più evidente quelle che sono le disfunzioni e gli inganni che si nascondono dietro alla “voce previdenza” evidenziando, finalmente, che il costo per le pensioni in Italia è perfettamente in linea con gli altri grandi Paesi europei. 

Concludo con un dato, purtroppo previsto, ma di cui si sarebbe fatto volentieri a meno. A causa del numero impressionante di decessi causati dal Covid nell’anno 2020 l’Inps ha risparmiato in tema pensioni circa 1,9 miliardi che fino all’anno 2029 fanno salire il dato a quasi 12 miliardi: è bene che il Governo nella difficilissima partita che si sta giocando in questo 2022 per una nuova riforma previdenziale ne tenga conto considerando anche che nel medesimo anno 2020 l’aspettativa di vita è scesa di ben 1,2 anni. 

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