NUMERI E RIFORMA PENSIONI: I CONTI DELLA CGIL NON TORNANO…

Riforma Pensioni. Ci sfuggono i criteri con cui la Cgil e la Fondazione Di Vittorio hanno individuato quante saranno le pensioni liquidate nel 2022 in conseguenza di quanto previsto dal disegno di legge di bilancio (per ora non ancora presentato in via ufficiale). “Dai nostri studi – ha dichiarato Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale – sarebbero solo 11.674 le domande di Ape sociale per lavoro gravoso che potranno essere accolte con l’ampliamento previsto in legge di bilancio e solo 2.013 le donne che potranno perfezionare il requisito di Opzione donna al 31.12.2021 dettato dalla proroga. Molte donne che potrebbero perfezionare il requisito hanno già maturato il diritto negli anni precedenti, dove l’età era più bassa di due anni”. Nel complesso, secondo la Cgil, nel 2022 vi saranno 109.767 uscite in meno sulle misure analizzate. Tanto da indurre il Segretario confederale, Roberto Ghiselli a insistere per aprire un confronto con il Governo per migliorare sin da subito le misure previdenziali ora previste, aumentando sensibilmente le risorse previste per la previdenza allo scopo di garantire a tutti coloro che svolgono effettivamente un’attività gravosa di poter accedere alle misure previste. 



Può essere che non abbiamo compreso bene o che ci sfugga qualche aspetto importante, ma una domanda va posta. Che cosa c’entrano le risorse che vengono stanziate con il diritto di godere delle prestazioni previste, quando gli interessati possono far valere i requisiti richiesti? L’adeguatezza degli stanziamenti condiziona i diritti soltanto nel caso in cui le somme costituiscano un limite di spesa. Quando ricorre tale impostazione la legge lo dice esplicitamente. Come nel caso del decreto n. 4/2019 con riferimento al Reddito di cittadinanza dove si stabilisce che “sono autorizzati limiti di spesa nella misura di 5.906,8 milioni di euro nel 2019, di 7.166,9 milioni di euro nel 2020, di 7.391 milioni di euro nel 2021 e di 7.245,9 milioni di euro annui a decorrere dal 2022″. Il ddl di bilancio, quando finanzia le nuove misure in materia di Ape sociale e di Opzione donna, indica una copertura presumibile, non un limite di spesa, perché un diritto soggettivo va riconosciuto a chiunque sia in grado di far valere i requisiti necessari. Pertanto, non è corretto far dipendere il numero delle prestazioni dalle risorse allocate in bilancio. Infatti, se le previsioni risultassero sbagliate, e i richiedenti l’Ape sociale (e le altre prestazioni) fossero in numero maggiore, non gli si potrebbe obiettare – nella misura in cui le risorse stanziate fossero divenute insufficienti – che non viene loro erogata la prestazione se fossero in grado di far valere i requisiti previsti. La differenza può sembrare sottile, ma è determinante. 



RIFORMA PENSIONI E OPZIONE DONNA: SE CI FOSSERO 110MILA PENSIONI IN MENO CHE PROBLEMA C’È?

Quanto a Opzione donna sono anni che le proroghe servono a “perfezionare il requisito”. Si ricorda, infatti, la controversia con l’Inps che aveva per oggetto l’inclusione o meno nel requisito anagrafico dell’anno aggiuntivo della “finestra”. Ciò detto sul piano giuridico, rimane un altro motivo di perplessità: che problema ci sarebbe se ci fossero circa 110mila pensioni in meno? È forse stato istituito un numero minimo annuo di pensioni? Le misure indicate dal Governo sono rivolte a diminuire il numero delle pensioni proprio nel settore dell’anzianità, che è la vera anomalia del sistema pensionistico italiano. Come ha scritto nei giorni scorsi sulla rivista Il Mulino Giovanni Amerigo Giuliani, “l’Italia continua ad essere tra le nazioni che spende maggiormente per il pensionamento anticipato (1,4% del Pil nel 2018 contro lo 0,8% della Spagna, lo 0,6% della Svezia, lo 0,4% della Danimarca, lo 0,3% della Germania). Il risultato è una spesa sociale sbilanciata che predilige la copertura dei vecchi rischi sociali – ovvero quei rischi tipici dell’epoca fordista tradizionalmente coperti tramite misure passive – a scapito dei nuovi – comparsi a seguito del processo di de-industrializzazione e terziarizzazione dell’economia e della modernizzazione della società e che tendono a colpire soprattutto le nuove generazioni”.



Invece, ha proseguito Giuliani, “nel 2017, l’Italia ha speso solo lo 0,6% del Pil per i servizi alle famiglie – in primis, asili nido – ovvero meno della metà delle risorse destinate per finanziare la spesa per le pensioni anticipate! Se comparato agli altri Paesi europei, inoltre, il dato è particolarmente deludente: non solo è inferiore ai Paesi scandinavi (2,2% la Svezia) o alla Germania (1,3%), ma anche alla Spagna (0,7%). Non stupisce quindi che il tasso di iscrizione dei bambini della fascia 0-2 anni nei servizi della prima infanzia risulti essere – seppur con dei sostanziali miglioramenti rispetto ai decenni precedenti – tra i più bassi tra i Paesi dell’Europa occidentale e con forti differenze territoriali (26,1% contro il 38,2% della Spagna, il 37,7% della Germania e il 46,3% della Svezia)”. 

RIFORMA PENSIONI: ITALIA MALATA DI “PENSIONITE” E “ANTICIPITE”

Si conferma così che l’Italia non è soltanto un Paese malato di “pensionite” (copyright Irene Tinagli, vice segretaria del Pd), ma soffre anche dell’aggravante della “anticipite”, perché sono – da sempre – le regole del pensionamento anticipato a essere la principale causa dei conflitti in materia previdenziale e delle misure demagogiche del Governo Conte 1. Sia Quota 100 che il congelamento fino a tutto il 2026 dei requisiti del trattamento di anzianità ordinario (42 anni 10 mesi per gli uomini e un anno in meno per le donne) pestavano l’acqua in questo mortaio. Consentendo la possibilità di andare in quiescenza a età alla decorrenza del pensionamento indifferente a corretti rapporti intergenerazionali e alle aspettative demografiche. 

 

FONDO PENSIONI LAVORATORI DIPENDENTI al netto delle contabilità separate

Età media alla decorrenza delle pensioni liquidate per categoria, anno di decorrenza e sesso

Rilevazione al 02/10/2021 

(età in anni compiuti)

Sesso

Vecchiaia 

Anticipate

Invalidità

Superstiti

Totale

(1)

Maschi

66,9

61,6

54,2

76,9

64,2

Femmine

67,1

61,0

53,2

74,7

68,9

Totale

67,0

61,4

53,8

75,2

66,8

di cui:

Decorrenti gennaio – settembre 2020

Maschi

66,9

61,6

54,2

76,8

64,3

Femmine

67,1

61,0

53,1

74,7

68,9

Totale

67,0

61,4

53,8

75,1

66,8

Decorrenti gennaio – settembre 2021

Maschi

67,0

61,5

54,4

77,7

64,3

Femmine

67,1

60,9

53,3

74,7

68,6

Totale

67,1

61,3

54,0

75,2

66,7

(1) Compresi i prepensionamenti

TOTALE GESTIONI 

Distribuzione delle pensioni per anno di decorrenza, categoria e gestione – FEMMINE

Rilevazione al 02/10/2021 

CRISI DEMOGRAFICA E RIFORMA PENSIONI: UN MACIGNO SULLO SVILUPPO DEL PAESE

E sono proprio i trend demografici a essere ignorati e disattesi persino dalle organizzazioni sindacali che pure giurano di pensare particolarmente ai giovani, a cui non sono in grado di assicurare un lavoro ma promettono loro di avere da anziani una “pensione di garanzia”. 

La crisi demografica rischia di mettere una pietra quasi tombale sulle velleità di sviluppo del nostro Paese. Tra qualche anno gli spietati numeri della scienza demografica ci metteranno davanti al naso i limiti pratici di quello che può permettersi una nazione che lentamente sta morendo. È la brutale, ma ben supportata dall’evidenza scientifica, previsione che Alessandro Rosina, demografo della Cattolica, delinea nel suo ultimo lavoro “Crisi demografica. Politiche per un paese che ha smesso di crescere”. La brutalità della demografia appare ancora più sconsolante in relazione alle linee di convergenza dell’inverno demografico italiano con il dibattito in corso sulla miniriforma delle pensioni. Ed è veramente sconvolgente l’irresponsabilità di organizzazioni sindacali che sfuggono da questo problema. Ma anche i giovani si agitano – con tanto schematismo e troppa approssimazione – sui problemi dell’ambiente e non si accorgono che la questione della previdenza è farina dello stesso sacco. 

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