RIFORMA PENSIONI 2022: L’ETÀ PENSIONABILE E LA PROTESTA DEI SINDACATI

Come sempre, Itinerari previdenziali, la Fondazione presieduta da Alberto Brambilla, è una fonte di informazione sulla riforma delle pensioni e di approfondimento sul sistema di welfare nel suo complesso, con in più in vantaggio di mettere in relazione tra loro i diversi comparti sia pubblici che privati e di affrontare non solo il tema della spesa, ma anche delle entrate e del peso che grava sui contribuenti. In tempi di confronto tra il Governo e sindacati sul tema delle pensioni il IX Rapporto fornisce dei dati significativi sulla riforma delle pensioni per quanto riguarda le età medie alla decorrenza della pensione, loro evoluzione nel tempo e un raffronto con Ue e Ocse. 



Quella dell’età pensionabile è la questione che – senza badare ai trend demografici e ai rapporti intergenerazionali – è oggetto della maggiore pressione sulla riforma delle pensioni da parte delle organizzazioni sindacali che accusano la riforma Fornero di aver precluso l’accesso alla pensione. Il rapporto sottolinea come sia uno dei maggiori problemi pensionistici italiani (che purtroppo con i cosiddetti “lavori gravosi” si sta ripetendo in questo ultimo periodo) l’esistenza di un numero molto elevato di norme che hanno concesso nel tempo deroghe rispetto all’età legale di pensionamento per alcune categorie di lavoratori. Le baby pensioni, i prepensionamenti, anche con oltre 10 anni di anticipo rispetto all’età legale, le salvaguardie per gli “esodati” e i prosecutori volontari a ogni riforma pensionistica; poi l’Ape sociale, i lavoratori precoci, le proroghe di Opzione donna, la prima tranche dei lavori gravosi e da ultimo, nel 2019, Quota 100 che anticipava fino a 5 anni il pensionamento; sono questi i casi più eclatanti e la durata delle pensioni ne è la prova. 



Nel 1997 (due anni dopo l’entrata in vigore della riforma Dini), l’età legale richiesta per la pensione di vecchiaia del Fondo Pensioni Lavoratori dipendenti era di 63 anni per gli uomini e 58 anni per le donne, unitamente a un’anzianità di almeno 18 anni, mentre l’età media effettiva di vecchiaia al pensionamento era di 63,5 anni per gli uomini e di 59,3 anni per le donne. Dal 1.1.2019 e fino al 31.12.2021 l’età legale per la pensione di vecchiaia, ormai unificata dall’1.1.2018 per uomini, donne, dipendenti pubblici o privati e autonomi, è stata di 67 anni di età congiuntamente a un’anzianità contributiva di 20 anni. Nel 2020 per la sola vecchiaia l’età media effettiva alla decorrenza, pari a 67,4 anni per gli uomini, è stata costante rispetto a quella del 2019, mentre per le donne nel 2020 l’età effettiva è salita ancora rispetto ai due anni precedenti: da 66,3 anni nel 2018 è passata a 67 anni nel 2019 per raggiungere i 67,2 anni nel 2020. In media l’età ponderata per genere della sola vecchiaia è rimasta costante rispetto al 2019 a 67,3 anni (67,4 anni gli uomini e 67,2 le donne), più che in linea con l’età legale di 67 anni. 



Il 63,6% del complesso delle pensioni nuove liquidate di vecchiaia e anticipate (esclusi i prepensionamenti) erano erogate a uomini, mentre solo il 36,4% a donne. Nel 1997 il rapporto tra i generi rispetto al totale delle stesse categorie di pensioni era formato dal 68,5% di pensioni nuove liquidate a uomini e dal 31,5% di uscite femminili. Per la pensione di anzianità nel 1997 era sufficiente avere 35 anni di contribuzione e un’età di almeno 52 anni oppure 36 anni di anzianità con qualsiasi età; l’età media alla decorrenza era di 56,5 anni per i maschi e di 54,4 anni per le donne. 

Per il periodo 1.1.2019-31.12.2026, l’art. 15 del D.L. n. 4/2019, ha bloccato gli adeguamenti della speranza di vita per i requisiti contributivi richiesti per la pensione anticipata indipendentemente dall’età, fissando almeno un’anzianità di 42 anni e 10 mesi per gli uomini e di 41 anni e 10 mesi per le donne, più altri 3 mesi di attesa per la maturazione della decorrenza (finestra di uscita trimestrale). Quota 100, i cui requisiti richiedevano almeno 62 anni di età non adeguata alla speranza di vita e 38 anni di anzianità, dal 1° aprile 2019 è rientrata tra le statistiche delle pensioni anzianità/anticipate. Quota 100, però, per chi ha maturato i requisiti entro il 2021, esplicherà i suoi effetti fino al 2026. 

RIFORMA PENSIONI E OPZIONE DONNA: COME FUNZIONA QUESTO CANALE DI USCITA PER LA PENSIONE ANTICIPATA

Parlando sempre di Riforma pensioni, un altro canale di uscita per la pensione anticipata contributiva è “Opzione donna”, nata sperimentalmente nel 2004 e prorogata di anno in anno, da ultimo con la legge di bilancio 2022, prevede un’anzianità contributiva di almeno 35 anni e un’età di 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 anni di età per le autonome (questi requisiti non sono mutati nella nuova proroga). Nel 2020 anche per gli effetti di tutti questi canali di uscita della pensione di anzianità/anticipata, l’età media alla decorrenza è scesa a 61,9 anni per gli uomini (era di 62,5 nel 2019) e a 61,3 anni per le donne (era di 62,4 nel 2019); nella media maschi, femmine, l’età media è diminuita a 61,7 anni, era 62,2 anni nel 2019; senza deroghe l’età di uscita anticipata sarebbe stata ben maggiore. 

Se si considera il complesso della vecchiaia (anzianità, vecchiaia e prepensionamenti) si osserva che nel 2020 l’età media effettiva del pensionamento era di 64,3 anni; nel calcolo di tale età media, ponderata per genere, pesa di più l’età degli uomini (il 63,7%), pari a 64,1 anni che quella delle donne (il 36,3%) di 64,5 anni. Quest’ultima età media femminile ha subito un graduale innalzamento dei requisiti anagrafici iniziato in modo più incisivo dal 2014, che ha provocato una brusca frenata nel numero delle pensioni di vecchiaia delle donne e il prevalere come via di uscita, anche se in misura molto ridotta, del canale anzianità/anticipata di cui hanno beneficiato soprattutto gli uomini, che hanno anzianità più elevate e carriere continue, mentre le donne, che in genere hanno anzianità basse ed escono per vecchiaia, devono lavorare più a lungo in attesa di maturare l’età legale dei 67 anni. Se poi consideriamo insieme all’età media effettiva di pensionamento per vecchiaia o anzianità/anticipata anche quella per invalidità previdenziale, ossia l’età media effettiva di tutte le uscite per pensionamento previdenziale diretto, nel 2020 è aumentata a 63,1 anni per gli uomini e a 63,4 anni per le donne, con una media dei due generi di 63,3 anni (nel 2019 erano 62,8 anni per gli uomini e 61,9 anni per le donne e una media totale di 62,6 anni). Analizzando, infine, la media ponderata delle età effettive alla decorrenza di tutte le categorie di pensione, comprese le pensioni ai superstiti e i trattamenti assistenziali, nel 2020 si rilevano in media 67,8 anni; per gli uomini l’età media effettiva è di 64,9 anni e per le donne, che hanno maggior peso nelle pensioni ai superstiti, l’età media è di 70,3 anni. 

RIFORMA PENSIONI, L’ETÀ MEDIA DI PENSIONAMENTO NEI PAESI OCSE E NELL’ITALIA: IL CONFRONTO

Nei Paesi Ocse la stima dell’età media effettiva di pensionamento (preso come esempio un teorico individuo che ha iniziato a lavorare a 22 anni senza interruzioni e si è pensionato nel 2020) è pari a 63,8 anni per gli uomini e un anno in meno 62,4 per le donne; l’età media effettiva di pensionamento stimata nei Paesi Ue-27 è più bassa, pari a 62,6 anni per gli uomini e 61,9 per le donne. In Italia si posiziona al di sotto della media Ocse per oltre un anno e poco al di sotto della media Ue-27, con l’età media effettiva di pensionamento stimata pari a 62,3 anni per gli uomini e un anno in meno per le donne (61,3 anni). Il Giappone (68,2 anni per gli uomini e 66,7 anni per le donne) e la Nuova Zelanda (68,2 anni per gli uomini e 65,8 anni per le donne) sono i Paesi dell’Ocse con la più alta stima di età media effettiva di pensionamento, a fronte entrambi di un’età “normale” pari a 65 anni per tutti e due i generi. Il Paese Ue con la più alta stima di età effettiva di pensionamento è la Lettonia con 66,3 anni gli uomini e 64,5 anni le donne, a fronte di un’età “normale” di 63,8 anni, seguita dalla Svezia con 65,8 anni per gli uomini e 64,9 anni per le donne, a fronte di un’età “normale” di 65 anni. 

Tre Paesi europei presentano la più bassa stima dell’età effettiva di pensionamento sia in ambito Ocse, sia in ambito Ue-27 e sono nell’ordine: il Lussemburgo con 59,2 anni per gli uomini e 60,1 per le donne, a fronte di un’età “normale” di 62 anni, la Slovacchia con una stima dell’età effettiva di 60,2 anni di età per gli uomini e 59,8 anni per le donne, a fronte di un’età “normale” rispettivamente di 62,8 e 62,7 anni e la Francia con 60,4 per gli uomini e 60,9 per le donne, a fronte di un’età “normale” di 64,5 anni. 

Va precisato che, generalmente, l’anticipo del trattamento pensionistico comporta, negli altri Paesi una penalizzazione di tipo economico. Da noi – a legislazione vigente – la penalizzazione è indiretta e limitatamente alla quota sottoposta al calcolo contributivo nel sistema misto, in quanto i coefficienti di trasformazione sono parametrati, in ordine crescente, all’età di accesso alla pensione. 

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