Il cantiere della riforma pensioni è sempre aperto:  come direbbe l’Ecclesiaste, “c’è un tempo per demolire e uno per costruire”. A demolire ha provveduto il Governo giallo-verde. Draghi cerca di ri-costruire.

Ma i demolitori stanno vigili e in agguato.  È difficile comprendere a che cosa sia servito l’incontro di ieri, tanto atteso e solennizzato come continuità del dialogo sociale dopo lo strappo dello sciopero generale bicefalo, proclamato allo scopo di ottenere delle risposte anche in materia di pensioni, il solo argomento su cui i sindacati hanno formulato delle proposte, mentre sulle praterie che si aprono col Pnrr stanno a guardare al pari delle stelle. Com’è andato l’incontro? Un raduno tra vecchi amici: “Si è deciso di aprire finalmente il cantiere per discutere della riforma della legge Fornero. Con tre confronti: sulla flessibilità in uscita, sulla previdenza per giovani e donne e sulla previdenza complementare. Abbiamo concordato il metodo”, ha dichiarato il Segretario generale della Uil,



Pierpaolo Bombardieri, al termine dell’incontro a Palazzo Chigi sulle pensioni, spiegando che il confronto partirà dopo Natale e domani arriverà il calendario dal Governo. “Dobbiamo dare priorità a giovani e donne”, ha aggiunto Luigi Sbarra.

Non era sufficiente una telefonata? Il fatto è che ambedue le parti sanno che le posizioni sono distanti.  I sindacati hanno presentato una piattaforma che – al di là dei termini usati – vorrebbe ripristinare quel sistema che Draghi, nel 2011 (chi non ricorda la lettera del 5 agosto a doppia firma Draghi-Trichet che mandò a gambe all’aria il già traballante Governo Berlusconi?), suggerì (con una certa energia) di cambiare: “È possibile intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico – era scritto in modo perentorio –  rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità e riportando l’età del ritiro delle donne nel settore privato rapidamente in linea con quella stabilita per il settore pubblico, così ottenendo dei risparmi già nel 2012”. Pare che il Premier  sia ancora di quella idea e abbia l’intenzione di accorciare i tempi dell’entrata in vigore del calcolo contributivo, specie quando si imboccano, alla decorrenza del trattamento, percorsi di anticipo dell’età.



La Cgil, in proposito, ha presentato una nota dove sostiene che un ricalcolo in tal senso dei periodi coperti dal regime retributivo comporterebbe una riduzione dell’importo delle future pensioni.  In una nota dell’Osservatorio delle pensioni hanno sviluppato alcune ipotesi caratterizzate  da un differente numero di anni in regime retributivi (quelli che dovrebbero essere ricalcolati). “L’impatto del ricalcolo contributivo – sostiene la nota – diminuisce con il calare dell’anzianità contributiva al 31.12.1995, partendo da una riduzione del 29,3% sul totale della pensione maturata con 15 anni di anzianità contributiva, 18,8% con 10 anni di anzianità contributiva, il 3% con 5 anni di anzianità contributiva”.



Alla luce degli effetti sopra riportati per quanto concerne un eventuale ricalcolo contributivo viene messo a confronto l’impatto sulla spesa pensionistica nel valutare i singoli casi, con l’uscita a 64 anni attraverso il ricalcolo contributivo e quella a 67 anni con la pensione di vecchiaia ordinaria, stimata sull’attesa di vita media: 82 anni. Secondo la Cgil, vi è una differenza negativa, per le anzianità di 15 o 10 anni di contribuzione al 31.12.1995, rispettivamente, 19.344 euro e 4.251 euro, di segno opposto con una contribuzione di 5 anni al 31.12.1995: 5.772 euro. In conclusione, secondo l’Osservatorio della Cgil, dalle analisi proposte si evidenzia che il ricalcolo contributivo ha mediamente un effetto negativo importante anche sulle posizioni miste (con meno di 18 anni di contribuzione al 31.12.1995). Infatti, seppur presa a riferimento un’età di uscita anticipata a 64 anni (rispetto a 59/60 anni per Opzione Donna), l’incidenza del ricalcolo varia a seconda di diversi fattori, quello più rilevante è dettato dalla contribuzione maturata al 31.12.1995.

Vi sono ulteriori fattori che possono determinare un crescente divario con il ricalcolo contributivo, sicuramente uno di questi è la dinamica della retribuzione. Il ricalcolo contributivo effettuato secondo quanto disciplinato in materia di opzione per la liquidazione del trattamento pensionistico, merita inoltre un’attenzione particolare, se osserviamo quale impatto determina, sul valore della pensione complessivamente percepita negli anni, l’uscita anticipata a 64 anni nel confronto con la stessa posizione liquidata con la pensione di vecchiaia a 67 anni di età. Si evince in maniera chiara che tale ricalcolo non corrisponde a un criterio di neutralità attuariale nel momento in cui determina un’ampia differenza tra gli importi di pensione liquidati con l’anticipo a 64 anni di età rispetto all’uscita ordinaria a 67 anni, se valutati sino a 82 anni (attesa di vita media).

Fin qui la Cgil che ha scoperto ciò che si sapeva e che viene adottato proprio allo scopo di raccordare (sia pure con una discutibile operazione ex post) più correttamente l’importo della pensione ai versamenti effettuati.  Eppure si tratta di un percorso logico: se si va in pensione prima – soprattutto nel sistema contributivo – si percepisce mediamente il trattamento per un maggior numero di anni. È quindi corretto ed equo che l’importo iniziale sia più basso, ragguagliato all’età in cui si varca la soglia della quiescenza. Comunque un tavolo non si nega a nessuno.

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